Contemporary Art Magazine
Autorizzazione Tribunale di Roma
n.630/99 del 24 Dicembre 1999

108 | Silvia Argiolas – Di Carne, Di Nulla

Antonio Colombo Arte Contemporanea è lieta di presentare Di Carne, di Nulla, la doppia mostra personale degli artisti italiani 108 e Silvia Argiolas, a cura di Luca Beatrice.

Una doppia personale è una delle sfide più difficili per un curatore, sia che si tratta di accostare lavori simili tra loro, sia che si ragioni per differenza o contrasto.
In questo caso, però, la mostra nasce da una necessità precisa: Silvia Argiolas e 108 sono tra gli artisti più interessanti della loro generazione, la seconda parte degli anni ’70, tra quelli che utilizzano la pittura e si domandano come questo linguaggio, talora messo in disparte dal contemporaneo, altre volte invece limitato a forma di resistenza rispetto ad altri media, possa continuare a dire la sua nel nostro presente.
Li accomuna ben poco: la data di nascita, Silvia è del 1977, 108 (Guido, all’anagrafe, del 1978). Cittadini entrambi, lei di Cagliari, lui di Alessandria, eppure in qualche modo legati alla provincia. Poi Silvia sceglie Milano, 108 si ferma in Piemonte ma gira tanto, l’Europa, il mondo. Lei dipinge figure femminili, molto aggressive eppure fragili, figlie del loro e del nostro tempo, frutto di inquietudini e contraddizioni attuali, in un ventaglio stilistico che sembra passare dalla Bad Painting al Reality così come lo aveva immaginato nel suo film Matteo Garrone. Lui è uno dei pochissimi street artist che rinuncia all’immagine, all’impianto narrativo, e volendo lo si potrebbe accostare alla famiglia della pittura astratta –Guido rivela di aver studiato Kandinskij, Malevic, la Bauhaus, di amare Burri e Fontana. Per il resto sono diversi, e proprio per questo si sono sentiti reciprocamente attratti, perché ciò che ci è distante è sempre quello che ci interessa di più.
Si tratta in ogni caso di due talenti molto atipici nel panorama italiano, in linea peraltro con la linea culturale di Antonio Colombo Arte Contemporanea. La solita scommessa, insomma.

Ora: perché questo titolo, così suggestivo ed enigmatico? Di carne, di nulla.
“La prima volta che ci siamo incontrati per parlare di come sviluppare questa mostra –racconta Guido- Silvia ha trovato questo titolo, preso da una raccolta di racconti di David Foster Wallace. Il punto è che se il nostro lavoro è diametralmente opposto a livello visivo, parte da simili riflessioni sul mondo e sulla nostra vita. Silvia sviluppa queste riflessioni immergendosi negli aspetti più terreni (di carne). Anch’io sono completamente immerso nella quotidianità della vita, sia quando si tratta di esperienze positive che negative, reagisco cercando di trascenderla, dipingendo forme che con il mondo reale hanno poco a che fare”.
E continua Silvia, “l’espressione originale era riferita a un tennista, e diceva di carne, di luce. Anche nel nostro caso la carne indica luce /vita, mentre il nulla è quello che inevitabilmente ci aspetta.

Nel mio lavoro è’ presente la vita, la noia, il superficiale, la quotidianità, mentre nei lavori di Guido ho sempre visto l’infinito di ciò che ci aspetta”.

Silvia e 108 presentano a Milano due serie di opere inedite: i personaggi femminili, di una femminilità acerba e irrisolta, insieme ai buchi neri, agli spazi negati di 108. Anche l’allestimento in mostra evidenzia questo continuo scambio di idee, questa collaborazione nata da un dialogo approfondito e ottimamente risolto.
Ma finiamo con le parole degli artisti: Silvia dice “mi piace osservare gli esseri umani, come cercano di passare l’esistenza, nelle loro frustrazioni e nel rapporto quotidiano con il prossimo. Mi sono allontanata dalla mia percezione femminile cercando di capire cosa avvicina l’uomo alla sessualità. I miei personaggi sono legati da una noia costante che si legge nei loro occhi vuoti in conflitto con gli atteggiamenti ammiccanti, ragazze che aspettano di essere scelte e osservando si può intuire una ripetizione di oggetti esposti, scarpe, coperte, quadri, in un ambiente privo di personalità”.
E Guido: “sono sempre stato affascinato dalle forme antiche ed enigmatiche. Penso a una pietra abbozzata migliaia di anni fa che spunta dal terreno, così pesante e materiale eppure con una forza magica in grado di farmi immediatamente dimenticare del mondo in cui mi trovo in quel momento. Una forma nera nei miei lavori può apparire sia come la rappresentazione di una forma fisica sconosciuta, sia come un buco, un passaggio che porta a una destinazione sconosciuta. La brillantezza dei colori si scontra con l’opacità dei neri. Quando dipingo il nero in forme geometriche e razionali, i colori compaiono come particelle irregolari. Quando invece il nero è una massa molle e pesante, allora sono rigide forme colorate a cercare di mettere ordine”.

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