Contemporary Art Magazine
Autorizzazione Tribunale di Roma
n.630/99 del 24 Dicembre 1999

Trasparenza: una riflessione verso l’oltre

La trasparenza è l’intuizione che esperienza, conoscenza e memoria non sono altro che tracce evanescenti del tempo sulla superficie della nostra autocoscienza.

La trasparenza nell’arte non è una velatura, perché risponde a un diverso principio: non quello dell’ombra e della visione ma all’incontro quasi mistico fra transitorio e origine, incontro che non sarà mai dissezione e conoscenza fisica bensì parziale disvelamento del mistero. L’artista che lavora sulle trasparenze indossa una veste sacerdotale, si professa conoscitore e custode del mistero ed è pronto a condividere la via per avvicinarlo. Chi invece guarda alla trasparenza come nudità rischia la pornografia visiva, che può anche essere scientifica e assonometrica, ma – come una TAC – mostra l’interno senza catturare il soffio ineffabile della vita.

L’umana attenzione alla trasparenza ci accompagna dalle origini e perciò facilmente diventa elemento di comunicazione, sia nell’arte visiva sia nel riflesso dell’inconscio. Alcuni esempi: un bozzolo di farfalla, l’emblema in un’antica coppa, una cattedrale gotica traforata di vetrate, il sogno del pescare, il fango e l’ambra sono solo alcuni dei possibili incontri fra l’uomo e l’inafferrabile segreto custodito di là dalla superficie. E’ importante – prima di volgersi all’arte – ragionare su ciò che la trasparenza suscita: troveremo delle costanti che riemergono puntualmente nella ricerca di tanti creativi.

Della farfalla ammiriamo la bellezza, il suo essere etereo, il nutrirsi dell’essenza dei fiori; sappiamo – più per conoscenza scolastica che per esperienza diretta – che ogni battito d’ali ha avuto una vita precedente, lenta, goffa, colorata, vissuta in forma di bruco. Il momento di passaggio è l’impuparsi, l’avvolgersi con il filo di seta fino a cadere in un sonno così profondo da permettere la scomposizione e la ricomposizione dell’intero corpo. Il bozzolo contiene, nasconde, protegge e permette la mutazione.

Immaginiamo di tenere fra le mani un recipiente, una coppa per bere o qualcosa comunque a forma di conca e che – sorseggiando o mangiando – venga lentamente alla luce quanto è dipinto o inciso sul fondo. Immaginiamolo senza la banalità del ripetersi metodico dell’industria, della stoviglia stampata, ma come gesto di relazione. Una doppia chiave: noi che andiamo scoprendo qualcosa che è celato e al tempo stesso intuiamo il pensiero di chi ci ha destinato quello specifico oggetto. Vuotarlo, portare a vista l’emblema, ci apre alla scoperta sia del significato nascosto sia del messaggio intenzionale.

Entrare nell’ombra scintillante e policroma di una chiesa cattedrale, unire il transitorio del nostro peregrinare all’asse cosmico che lega al cielo la reliquia o il sacro luogo nella cripta ed essere ammantati dai fasci di luce colorati delle vetrate: significa assaporare la necessaria concretezza del mondo – attraverso il sole che rende vive e intelligibili le storie delle vetrate – e la sua incolmabile lontananza dalla spiritualità. La comprensione del sacro avviene grazie alla trasparenza, che lascia il vivido universo al tempo stesso presente ma lontano da noi.

Solo le acque ferme sanno riflettere il cielo, solo quelle melmose permettono la delicata e poetica fioritura del loto: maggiore è la trasparenza dell’acqua, maggiore è la sua nudità. L’acqua è da sempre lo scrigno della vita: delle sue forme terrificanti nell’abisso, del guizzare ingenuo vicino alla scogliera dove il pesce inconsapevole mostra il proprio dorso all’arpione. E’ una porta che si apre sull’inconscio, lo specchio naturale della mitologia: il grado di trasparenza la avvicina alla terra ubertosa o al cielo cristallino; contiene le origini, attrae ma se violata ci toglie il respiro e in pochi attimi tumultuosi la vita.

La trasparenza assoluta, la gemma, il gioiello tagliato, è un vorace predatore di luce che restituisce scomposta e riflessa in una miriade di bagliori scintillanti. L’uomo però non cerca solo questa perfezione: si lascia affascinare dalla trasparenza velata e s’interroga sul contenuto. Il dentro è importante perché custodito, racchiuso e contemporaneamente offerto. Dall’acqua al cielo, dal mare al pantano, l’interesse è maggiore se l’irraggiungibile è almeno parzialmente celato. Le profondità nascondono nella nostra fantasia i tesori, gli acquitrini le case sommerse delle fate, il fondo del caffè raccoglie nel proprio mistero astratto una premonizione sul futuro, l’intimo femminile tanto sbandierato nella pubblicità è un gioco di trasparenze che rima con erotismo. Che cosa si nasconde dietro quest’apparente ambiguità?

Da più di due mille l’élektron, l’ambra, condensa le nostre riflessioni sulla trasparenza, collegando l’energia dell’individuo con quella cosmica. L’ambra contiene, conserva, preserva e per millenni è stata ritenuta traccia visibile dell’universo mitico. La funzione della trasparenza è il limite da non oltrepassare, il punto di contatto fra il mistero della conoscenza e la nostra impossibilità di penetrarlo, perché il dazio orrendo di questa velleità è la distruzione del mistero stesso. La lucida opalescenza della crisalide, l’embrione che cresce a vista protetto dall’uovo senza colore e dal tepore dell’acqua di stagno, la reliquia racchiusa nel più barocco e sontuoso scrigno in cristallo di rocca, l’emblema che vediamo affiorare sorseggiando il vino del banchetto sono tutti lampi intuitivi di conoscenza, che possiamo cogliere e comprendere con un semplice sguardo senza portarli nei freddi laboratori della scienza.

Passiamo ora, per brevi cenni, a illustrare l’uso della trasparenza nelle ricerche di alcuni artisti. In ognuno di loro affiora questo senso di rispetto per un mistero integralmente custodito e condiviso, ma che non è indagato bensì semplicemente suggerito. Il francese Christian Boltanski (1944-2021) si appropriava – attraverso immagini e oggetti – del passato degli altri, integrandolo nel proprio, confondendolo e mischiandolo per mostrare quanto le radici siano comuni e le barriere fragili. Le storie sono individuali solo attraverso una forzatura e un’algida decontestualizzazione: è più importante sentirsi parte di un patrimonio umano comune che sottolineare continuamente irrisorie differenze. “Monuments” fa della trasparenza il segno del ricordo, capace di trattenere un passato, vissuto fisicamente da altri ma parte comunque della nostra identità.

Laura Panno, nata nel 1954, si forma a Venezia sotto la guida di Edmondo Bacci i cui spazi visivi vibranti di luce sembrano aprirsi senza peso né gravità. Lei coniuga questa mancanza di confini certi con i volumi del corpo umano, ricomponendolo nella mente anche attraverso le morbide piegature di una fitta rete metallica. Le membra mantengono inalterate le proporzioni della vita, pur materializzandosi solo parzialmente, torsi, gambe, soprattutto occhi. L’occhio senza palpebra che non smette d’osservare, la totalità dell’individuo che si concentra in una grande goccia di vetro fuso e soffiato, perché la presenza è soprattutto sguardo, brillante e acqueo, ancora libero nell’oceano primordiale.

Rosa Mundi, artista italiana che sfugge alle biografie personali e cerca lo spazio infinito dentro un volume geometrico e concluso, dagli spigoli netti, dai confini precisi ma aperto alla suggestione di contenere il tempo. L’opera cela nelle proprie fibre un patto fra l’artista e il mecenate, contiene attraverso la traccia fotografica un istante del flusso vitale. Con le “Sfere armillari” lo espande, replicandolo e sovrapponendolo, lo chiude nella totalità di un movimento che torna sempre su se stesso e si ricrea nel significato, secondo dove la Sfera è posta. Nel recinto sacro evidenzia per contrasto la possibile fuga liberatoria verso la trascendenza; immersa nella natura la concentra e sublima nella propria forma e trasparenza.

Rocco Luvarà è un fotografo siciliano, che in molti dei suoi scatti fa della luce la protagonista essenziale mentre il mondo attorno, fatto di cose e di persone si trasforma in un nodo d’ombra, resistente ma transitorio. A Parigi, in un suo reportage, coglie l’essenza della Piramide del Louvre, opera del cinese Ieoh Ming Pei. L’architetto aveva voluto un vetro di assoluta trasparenza, che non ingiallisse nel tempo, per dare concretezza fisica alla grande struttura d’alluminio e acciaio. Un ponte tra culture, che lega una Nazione alla centralità assoluta della propria storia monarchica, all’interesse che da secoli mostra per il culto solare, in una forma che cattura e ne contiene in pochi istanti al tramonto la vitalità radiosa. Luvarà, con intuito e tecnica, ci consegna la magia di questa congiunzione celeste.

Dall’estate 2020 l’artista meranese Elisabeth Hölzl lavora a una serie fotografica intitolata Augenblick (attimo) frapponendo, tra il corpo nudo del soggetto e l’obiettivo, una leggerissima garza di cotone che reca le parole dal Faust di Goethe “Augenblick verweile doch, du bist so schön” (“Attimo, fermati, sei così bello”). Il velo permette alla persona di liberarsi, sentendosi protetta dalla quasi trasparenza che la scherma. Non vi è comunicazione diretta ma volontà d’essere presenti, consapevolezza della traccia che si lascia entrando per un attimo nel campo visivo di chi ti sta fotografando.

Il palermitano Salvo Agria, che firma ASO ART le proprie opere, si appropria della tecnica pittorica per mutare poi i pigmenti in pixel fotografici, che sovrappone nella fase di post produzione in complesse e articolate immagini. Regista e realizzatore per diversi anni del video istituzionale della massima espressione religiosa del capoluogo, il Festino di Santa Rosalia, riconosce nel mutare del tempo la continuità di un’impronta culturale. Per questo nella serie “Angeli mortali” i corpi, che sono posti nello spazio secondo la più nobile tradizione degli affreschi e dei dipinti di figura, diventano forme luminose e trasparenti. Dai torsi muscolosi e dal candore della cute emerge un patrimonio di figure mitologiche e allegorie.

Il molisano Giacinto Occhionero, è nato nel 1975 a Campobasso, dopo l’Accademia ha tralasciato il percorso figurativo concentrandosi sul rapporto fra gesto e colore, sulla padronanza d’indirizzare il pigmento ad assumere forme, identità cromatiche percepite come autonome. Affascinato dalla sperimentazione e dai nuovi materiali, sceglie i fogli trasparenti del polimero di poliestere Duralar per far gocciolare il colore in sedimentazioni concentriche. La trasparenza della materia gli permette di fissare e poi ribaltare l’espandersi, l’allargamento liquido o viscoso di ogni singolo tono che ingloba, avvolge e sedimenta sul precedente.

La trasparenza è prima di tutto percezione; abbiamo visto come possa legarsi alla memoria e al suo trascolorare, al dissolversi lento, al riemergere riannodando i fili con il presente. Diversi artisti la usano per intrappolare la luce accentuandone il significato simbolico, altri ancora la rendono materia, attraverso il vetro o le velature, il supporto, la sovrapposizione. E’ sempre un ponte, un punto di contatto fra chi guarda e un oltre indefinito, lontano e intangibile. Anche nella cultura statunitense mantiene questo carattere, nonostante l’evidente concretezza materica di alcuni artisti. Per la cultura orientale, invece, la trasparenza sembra associarsi non solo alle sensazioni di profondità e lontananza ma anche e soprattutto alla percezione del tempo, quello impiegato dall’artista per creare e quello necessario a chi guarda per entrare in sintonia con uno spazio mentale composto di un lento susseguirsi di continui ritorni.

Una sintesi durata per tutto il Novecento delle sensibilità orientale e occidentale la troviamo nel maestro Zao Wuo-Ki (1920-2013). Arrivato a Parigi appena dopo il secondo conflitto mondiale, accompagnato dalla moglie – la compositrice Lan-Ian – si era formato studiano calligrafia e pittura. Zao Wuo-Ki è riuscito a fondere le ricerche europee dello sfondamento e della rappresentazione con la fisicità del colore, così cara alla gestualità e all’espressionismo astratto d’oltreoceano. Il suo universo culturale, però, si è mantenuto con coerenza nella riflessione meditativa del continuo divenire universale senza indulgere verso la rigidità delle forme o nella narrazione ossessiva delle proprie emozioni.

La nipponica Shihoo Seki, nata a Tokyo, coniuga la perfetta padronanza della linea con la maestria di sfruttare l’assorbenza del supporto. L’uso che fa della carta di lino, ad esempio, ci permette di capire quanti piani potenziali di profondità questa fibra vegetale possieda. L’artista, premiata alla mostra di calligrafia giapponese, conosce e valorizza il potere comunicativo del segno proprio partendo dalla tradizione della scrittura ideografica. Alla spazialità temporale, fatta di un susseguirsi di azioni che si sovrappongono senza confondersi o annullarsi, aggiunge una microscopica pioggia di elementi a rilievo: sono sia un segno del tempo sia un’impercettibile terza dimensione fisica.

Concludiamo il nostro viaggio verso oriente lasciando alle parole dell’artista cinese Diana LoMeiHing Lo la libertà di descriverci la sua personale trasparenza. Lei vive da molti anni in Italia, si diplomò con lode in pitture all’Accademia di Brera nel 1978. “Sono l’anima gemella della libellula: amo i colori dell’arcobaleno, gli arancioni accesi del tramonto, le velature delle pianure in inverno e i paesaggi della memoria. Prediligo il nero seppia per la mia calligrafia emozionale e quando le ali sono spiegate, assorbo i colori del giorno, sfavillanti come quelli dei costumi dell’Opera di Canton (nella provincia di Guangzhou, in Cina) che vidi a teatro quando avevo solo tre anni e lo ricordo ancora. Assimilo i colori lunari della notte e ho una predilezione per l’acqua, l’aria, i vapori, le nuvole, le nebbie, il vento: sono tutti elementi in continua trasformazione e movimento. Con il pennello intriso di acquerelli riprendo la serenità dello stagno, le trasparenze riflesse del cielo infinito; indosso ali di garza per volare, fino a sfiorare l’eternità. Come la libellula sono consapevole di quanto breve sia la vita, amo viverla intensamente, dipingo poesie con l’introspezione, coloro i sogni ma senza illudermi, per non soffrire delusioni. Io sono una libellula con le ali trasparenti, sono uno spirito libero”.

Per gli Stati Uniti partiamo, invece, dallo stratificarsi di campiture e segni di Lisa Boardwine. E’ un’artista che vive e lavora in Virginia e pur appartenendo alla Watercolor Society, sia nazionale sia della città di Baltimora, usa i colori anche in densi impasti da cui in apparenza traspare la luce. Il candore del foglio è sostituito da stesure bianche che continuano a emergere sotto nuove sovrapposizioni di toni caldi e terrosi, linee curve e sottili quasi fossero pastelli o gessetti. La trasparenza è suggerita, si percepiscono la fisicità della materia e la presenza dell’artista, è come guardare il cielo attraverso le fronde protettive di una maestosa pianta che ci nasconde e protegge.

“Vedo attraverso il ghiaccio, l’acqua, l’aria e il fuoco, una realtà parallela. Ogni giorno osserviamo la complessità della vita con tutti i nostri sensi, avvertendo gli strati di luce che nascondono altri strati significanti, fatti di luci e ombre. Una fotografia può catturare una miriade di momenti opachi e trasparenti, che insieme formano un solido, come quell’enorme collezione di atomi che forma i corpi di ogni essere vivente. Il legno e la pietra, nonostante la propria solidità, lasciano magicamente penetrare la luce e tutto nella nostra esperienza potrebbe essere trasparente, visivamente o metaforicamente, se – come la vita stessa – fosse scavato abbastanza in profondità”. L’artista californiano Bill Hornaday ha toccato nella propria vita aspetti molto diversi dell’arte: dalle sculture di acciaio – anche di grandi dimensioni nel suo studio officina di Santa Cruz- all’industria cinematografica, dalla fotografia professionale alla foto-pittura con cui fissa sguardi sul mondo della natura che possano essere letti anche come autonome opere astratte. Ultimamente l’Artista si concentra nel baluginare di luci e colori sull’acqua, fotografandole in diverse ore della giornata senza l’utilizzo di effetti speciali: l’esperienza e la consapevolezza della vita emergono improvvisamente attraverso il proprio riflesso. In questo modo l’intero universo si dissolve in una trasparenza che è allo stesso tempo memoria e realtà.

Analizziamo infine la più importante opera di Alma Woodsey Thomas (1891 – 1978): “Red Azaleas Singing and Dancing Rock and Roll Music” realizzata nel 1976. Il grande pannello dipinto è ora di proprietà dello Smithsonian American Art Museum, l’istituzione che possiede la maggioranza delle sue opere. L’artista americana è stata la prima donna di colore ad avere una mostra personale al Whitney Museum di New York, un riconoscimento avvenuto solo nel 1972 quando aveva già ottant’anni. Con questo lavoro Alma Thomas ci dona una nuova costruzione dello spazio visivo: il colore e la forma si condensano in un ritmo battente che in parte nasconde, ma contemporaneamente rivela l’infinita trasparenza dell’oltre. Il vero soggetto non sono, infatti, i fiori o il rosso ma lo spazio lasciato vuoto, dove si ha il vero inizio: l’invisibile o il non vedibile, lo svanire dell’essere, l’aprirsi dello spazio. L’ex insegnante di scuola che si era laureata all’Howard University e aveva iniziato a dipingere professionalmente molto tardi, solo dopo il suo ritiro dal lavoro, è diventata una delle più importanti pittrici astratte americane del XX secolo. Con grande semplicità ci svela cosa sia non solo la trasparenza ma anche l’arte visiva: un corto circuito mentale che attraverso lo sguardo ci rende improvvisamente consapevoli del nostro rapporto con il mondo.

La trasparenza è un ponte fra noi e la luce; è l’intuizione che l’esperienza, la conoscenza e la memoria non siano altro che tracce evanescenti del tempo sulla vivida superficie della nostra autocoscienza.

Massimiliano Reggiani

Massimiliano Reggiani, emiliano ma da anni in Sicilia, si è laureato in Giurisprudenza e in Filosofia a Parma, in Scenografia all’Accademia di Bologna. Considera la comunicazione visiva connaturata alla specie umana e cerca nell'arte il riflesso del continuo mutare di valori e culture. Scrive di linguaggi contemporanei sulla propria pagina Facebook Critica d’arte.

15 Giugno 2022

Massimiliano Reggiani

Massimiliano Reggiani, emiliano ma da anni in Sicilia, si è laureato in Giurisprudenza e in Filosofia a Parma, in Scenografia all’Accademia di Bologna. Considera la comunicazione visiva connaturata alla specie umana e cerca nell'arte il riflesso del continuo mutare di valori e culture. Scrive di linguaggi contemporanei sulla propria pagina Facebook Critica d’arte.

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Nello stato solido i costituenti della materia sono legati da forze molto intense che consentono soltanto moti di vibrazione attorno a posizioni di equilibrio; Dalle avanguardie del novecento ad oggi il pensiero creativo ha trasformato la materia in un elemento magico,, talvolta disturbante, ma sempre adatto per una visione sensibile del mondo, che sia reale o immaginario.

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