Il blu di Giuseppe Modica (Mazara del Vallo, 1953) varia dal cobalto all’oltremare, dai violetti al blu ftalo, al ceruleo e interagisce con i rossi, gli ocra, i grigi e i gialli brillanti. Non è mai stabile, è mobile a seconda delle fasi della giornata e delle stagioni, delle diverse rifrazioni e dei diversi riflessi che può avere la luce. Si modula proprio sulla luce e sulle atmosfere. È mutevole anche nello stesso spazio e si evolve nel quadro tutto. Si modula sugli interstizi cromatici e li sottolinea. Si sviluppa nel contesto della rappresentazione e la condiziona, la immerge in un ambito metafisico. Aggiunge magia alle cose della quotidianità e le rende astratte tanto quanto sono concrete. L’astrazione deriva dal pensiero immaginifico che provocano le sue visioni. L’astrazione nasce dal potenziale che i quadri di Modica innescano nella fantasia di chi guarda, nella stimolazione ad andare oltre il visibile. L’astrazione si legge nelle trame del tessuto cromatico che si volge verso la luce e ciò provoca la quintessenza dell’immaterialità. Marco di Capua, nel Catalogo Blu Modica del 2009, edito per l’omonima mostra al Centro Le Muse di Andria, che consisteva in circa 30 opere, fra disegni, acquerelli ed olii, definisce così il suo blu: «…un mutevolissimo azzurro che variando instancabilmente include il celeste, il turchese, il ceruleo e, se guardi bene, magari anche il Blu Klein, quell’idea brevettata e molto esclusiva di un tono indimenticabile e unico e ossessivamente monocromo… Il Blu Modica non ha quel sapore lì, di artificio e di spirito, di cieli e acque e ceramiche, di aria euforica e rarefatta dove si respira un diverso tipo di ossigeno. È anch’esso ossessivo, il Blu Modica, a modo suo, ti invade la retina però senza essere monotono e monocromo: è duttile, passeggero, evanescente, transitorio: diresti che scorra e che cambi e che, soprattutto, sia proprio un italianissimo blu.» Ma cominciamo dall’origine di questa pagina di storia dell’arte italiana: Modica nasce nella Sicilia Sud Occidentale ed ha il privilegio di guardare il mare in tutte le fasi del giorno ed in tutte le stagioni. Ciò rimane nell’occhio e nel cuore del pittore che ne fa tesoro incentrando la sua pittura proprio sulla concretizzazione del colore del mare nella sua mutevolezza: “È un blu sempre diverso, che cambia non solo da un giorno all’altro ma ogni dieci minuti. E tale mutevolezza è data, oltre che dai venti e dalla maggiore o minore limpidezza dell’atmosfera, dai fondali e dalle correnti marine che in quel tratto di mare sono particolarmente fredde, persistenti e influiscono sul colore dell’acqua.” Ma, oltre alla vista, cosa conta concretamente nella visione dell’artista? La risposta è: la memoria, il ricordo. Tutto si trasforma e oltrepassa il naturalistico o il descrittivo. Sì perché i quadri di Modica vengono realizzati in studio e non en plein air, c’è una gestazione costante e molto spesso riflessiva che si protrae per lungo tempo, dice: “C’è una lenta lavorazione di toni cromatici per aggiunta e sottrazione. Ad un certo punto capisci che hai raggiunto la giusta sospensione ed equilibrio ed allora ti devi fermare.” In mezzo al blu nascono ruggine ed ossidazioni che convivono con il colore rendendo un interessante spazio cromatico: “Hanno un valore simbolico di Vanitas, ma anche un valore strutturale ben preciso che genera ritmo e spazialità: una sorta di alfabeto musicale che provoca attraverso contrappunti cromatici distanze e lontananze imprendibili. Mi interessa indagare quello spazio ineffabile, che è proprio della pittura, fra superficie e profondità, come accade nello specchio” dalle parole dell’artista. Infatti gli specchi creano giochi di lontananze e vicinanze che crescono in seno al colore perché la superficie specchiante, essenziale nell’opera del pittore, si accompagna spesso a differenze di luce-colore, mentre finestre aprono su scenari inaspettati e il blu diventa così indistricabile dalle architetture, dagli oggetti, dai corpi. Tra spazio fenomenico e spazio illusorio il blu diventa “pelle della pittura” nell’armonia di ambiti dove la costruzione di elementi riconoscibili all’occhio umano è solo un pretesto “per dare senso e struttura alla pittura ed alla sua magia.” La luce nell’opera di Modica è consustanziale al colore, si legge nelle sue trame e si genera dalla sapiente pennellata che riflette l’ineffabilità luminosa, la sua impalpabilità, la quintessenza del visibile, così il pittore cita Piero della Francesca: “Si torna al principio universale di forma-colore-luce di Piero della Francesca: la luce non è effetto aggiunto, ma è valore formale strutturale che si coniuga con il colore. E non c’è nostalgia dell’antico, ma il ricollegarsi all’origine, alle ragioni primarie di un linguaggio come quello della pittura che si rinnova e si trasforma nel tempo.” E proprio il tempo ha un valore processuale essenziale per chiunque si misuri con la pittura. Non esiste solo il tempo del fare pittorico che ha delle fasi ben precise, ma esiste anche il tempo della memoria antropologica e culturale e il tempo della memoria personale. Quella di Modica è senza dubbio una pittura del tempo insieme alla luce-colore, pittura che si nutre, quindi, di ricordo e lenta lavorazione. Per cui quando arriva il momento giusto in cui tutte le diverse accezioni del tempo sono state soddisfatte, accade sempre in Modica che siano compresenti nello stesso quadro diverse luci e diversi blu in contesti non assoluti, e si trovino contemporaneamente diverse fasi temporali. Ma esiste anche il gioco tra luci naturali e luci artificiali; il pittore descrive così un suo quadro famoso del 2016, Melanconia e notte: “il blu di un cielo di notte è protagonista dell’opera: il blu accende la luce naturale argentea della luna piena, delle stelle e dei pianeti, ma anche delle antenne e delle paraboliche sui tetti. La luce naturale giocata sulle variazioni del blu e dell’argento si coniuga con la luce artificiale accesa nelle case che appare dalle finestre. C’è una circolarità fra luce fredda naturale e luce calda artificiale e ancora un’alternanza fra il rigore geometrico della gabbia architettonica e lo spazio fluttuante ed infinito del cielo e delle galassie.” Nel 1986-’87 Modica arriva a Roma e resta colpito dai cieli della Capitale, dalle sue architetture classiche, ma anche dagli edifici dell’EUR. Così nascono una serie di quadri che verranno presentati in due significative mostre: nel 2008 a Palazzo Venezia, “La città riflessa”, e nel 2014 alla galleria La Nuova Pesa, “La luce di Roma”. Lo skyline della città si vede riflesso da finestre di un palazzo di vetro nato dall’immaginazione dell’artista in una dimensione straniante che oltrepassa la solita visione archeologica. E sono esistiti ed esistono esempi moderni e contemporanei di utilizzo del blu, rispetto all’uso che ne fa Modica, all’interno del mondo dell’arte. Così il pittore si confronta con un maestro del blu quale Klein, e con altri maestri: “Il Blu Klein è un marchio classico dell’arte contemporanea e il suo blu oltremare monocromo mantiene un fascino particolare in quanto il pigmento rimane puro nella sua fragranza senza l’alterazione del medium che lo tiene insieme. Quel pigmento puro ha una luce propria, si posa sulle cose senza subire alcun mutamento grazie al suo legante speciale. I calchi, le sagome o le impronte di Klein hanno la luce propria del pigmento puro in sé ed hanno una loro seduzione per lo sguardo come se fossero fatte di polvere blu oltremare. Un artista che riesce ad ottenere un effetto simile, pur con precise differenze e con altri toni e cromie, è Ettore Spalletti che spesso gioca con i toni del celeste, di un tenue ceruleo o un tenue rosa di cadmio. In entrambi gli artisti il tono è monocromo e rimane fisso, senza variazione nell’opera. Nel mio caso il Blu Modica, come lo ha definito Marco Di Capua, non rimane bloccato nella sua cromia di base, anzi è in movimento e si adegua al contesto subendo modifiche di tono… È un colore che ha in sé una propulsione energetica e dinamica e si modula dalle sue declinazioni fredde a quelle più calde. Rimango affascinato dai blu dei cieli di Giotto, di Beato Angelico, di Piero della Francesca, di Giovanni Bellini, di Antonello da Messina. Nel Novecento sono emozionanti i blu che fanno da contrappunto ai rossi o agli azzurri dei quadri di Matisse e Bonnard, così come i blu, gli azzurri e i verdi di Richard Diebenkorn che toccano vette di sublime bellezza sia nella fase figurativa che in quella astratta.” Per concludere non si può negare il rapporto tra Modica e la Metafisica creata da Giorgio De Chirico: nel 1999 Maurizio Fagiolo Dell’Arco ha curato una mostra “De Metaphisica”, presso la galleria di Alfredo Paglione di Milano, nella quale ha messo insieme autori di provenienze eterogenee che hanno a che vedere con il fantasma della Metafisica in cui ha inserito anche Modica, oltre che Gianfranco Ferroni, Carlo Guarienti, Carlo Maria Mariani, Giulio Paolini della generazione più matura ed autori più giovani: Claudio Bonichi, Bernardino Luino. Nessuno di questi autori ha a che vedere con la Metafisica intesa come linguaggio e stile pittorico, ma tutti hanno sintonia con il pensiero metafisico. Conclude l’artista: “Nel mio caso la Metafisica è un fatto appartenente allo sguardo ed al pensiero e si snoda sul terreno della sospensione luministica e della enigmatica sedimentazione del tempo.”
