L’open studio di Davide Di Vico, in arte Eva Killer Dog, nasce come seconda puntata di una prima che non c’è mai stata: l’anno scorso tutto era pronto per il 26 ottobre, ma poi si dovette sospendere – la Covid non ha d’altronde mai dimostrato sensibilità alcuna per i programmi degli umani.
Così quell’idea, dell’astronave che doveva permettere ai pensieri dei terrestri di andare più in alto per potere superare l’emergenza e poi ritornare a terra a sistemare almeno qualcosa, dovette rifugiarsi nel “pensatoio”, a maturare ancora un po’.
Questa era la narrazione della “prima puntata”: temi di base, questa astronave in qualche modo salvifica ed un equipaggio, ossia un lavoro che non può realizzarsi se non in gruppo. E questa, ampliata e forse chiarita, è anche la narrazione di questo “Second Chapter Starship’s Crew at the Malta’s Window” – inutimente ho cercato di farmi dire da Eva Killer Dog se ci fosse un altro titolo disponibile, per chi non aveva seguito la puntata precedente: l’idea era quella e quella solo poteva rimanere.
L’arte di Eva Killer Dog – dice chi se ne intende: in equilibrio non del tutto stabile tra espressionismo e pop art – ha la stessa testardaggine, colorata da una caratteristica innegabile e visibile anche ai non addetti ai lavori: il suo essere in continuo fermento.
Idee, proteste, racconti; e come abbiamo visto progetti che si modificano, che a volte vanno a nascondersi chissà dove per ritornare un po’ diversi ma ancora uguali.
Ma anche un legame profondo, che puoi vedere forse solo in controluce, con il suo lavoro di incisore ed orafo: una linea sotterranea che rimane visibile forse senza che lui lo voglia (o forse sì) – ad esempio in quelle linee nette, come incisioni, che fanno da cornice al colore senza potere, né volere, soffocarlo, ma anzi incastonandolo e quindi mettendolo ancora di più al centro dell’esperienza visiva.
E poi, l’amore per la macchina, lo strumento che serve all’essere umano per andare oltre: come ha detto il curatore di questa (come della precedente) “puntata” un afflato quasi futuristico per il dinamismo, il movimento, il continuo scambio delle cose con gli umani, e degli umani con le cose.
Non è “figlio” del senso di isolamento che la pandemia ha sparso a piene mani sul mondo, ma certo ne è stato influenzato, l’altro pensiero ricorrente di Eva Killer Dog: la necessità di fare gruppo, di mettere insieme linguaggi, competenze, pensieri diversi, perché è solo facendo squadra che si può andare un po’ più lontano nel viaggio.
Per questo motivo nel suo studio-bottega e in questa occasione Eva Killer Dog ha invitato le ragazze ed i ragazzi del Liceo Artistico San Giuseppe di Grottaferrata, con le loro opere “spaziali e cosmiche”: loro sono i depositari del nostro DNA per il futuro, dice l’artista.
Ed anche, a farsi parte dell’equipaggio, si avvicina Shabbou Barkand, artista iraniana che ha portato la sua riflessione e la sua ricerca sul rapporto tra la terra, la vita, la donna, la libertà: Barkand rappresenta spesso nelle sue opere una figura femminile, quasi un’idea di autoritratto, ed “ama esprimersi sfruttando gli elementi semplici dando nuovi significati simbolici e metaforici”.
A fare da regista e fine dicitore di questa seconda puntata, come lo era stato della prima, Giuseppe Ussani d’Escobar, il poliedrico critico d’arte che da sempre accompagna le avventure artistiche di Eva Killer Dog.