Attraverso questa mostra Simone Bertugno recupera una tecnica antica, la ceramica, piuttosto trascurata dai linguaggi contemporanei, anche per l’oggettiva difficoltà di realizzazione. Sono sempre valide le distinzioni, per meglio comprendere in arte. Secondo tale modo di procedere ci sono artisti lineari o multiversi. Simone Bertugno appartiene irrimediabilmente al secondo tipo. Di fronte le sue opere occorre essere sempre ben disposti nei confronti della meraviglia, di un proliferare maiuscolo e indomabile, di un eccesso che per essere maggiormente efficace si dispone su modelli che provengono anche da un’antichità curiosa e vorace.
Le opere presentate hanno un evidente filo comune, infatti sono improntate sul tema della sessualità, affrontato con grande spessore: è presente sia una dimensione ludica, sia una certa spregiudicatezza nelle figure che compongono le opere. Quest’ultima opera di Simone Bertugno testimonia un passaggio: da un proliferare regolato e consequenziale, a un allargamento della dimensione erotica: questa ricerca attraverso le combinazioni dei corpi, cerca le leggi di attrazione degli elementi. Nelle opere precedenti si poteva assistere a una germinazione ordinata e consequenziale, ora invece c’è una proliferazione incontrollabile. Le associazioni avvengono su piani regolati più dal capriccio e dalle possibilità, che dalle leggi di natura. Essa, comunque, nel suo procedere evolutivo, con gli anfibi, non ha tralasciato l’intervallo tra animali terrestri e pesci, e con le varie specie ugualmente ha coperto lo spazio che va dal terrestre al volatile, e poi da animale a vegetale, a minerale. C’è tutto un incrociarsi, un mescolarsi, un corrompersi, tale che la legge dell’incrocio e dell’incontro sembra essere una costante, suprema come la sopravvivenza stessa. È come se la natura volesse sperimentare se stessa, e, realizzando incroci inediti, generasse, attraverso nuove esperienze e commistioni, nuove creature. A vincere, però, sembra essere una dimensione lucreziana, generativa, per cui una forma genera l’altra, con un andamento progressivo e derivativo di grande suggestione.
Le rappresentazioni di Venere, da cui prende ideale avvio la mostra, sono estremamente varie nell’antichità. Da Cipride a Callipigia, tutte le versioni hanno unito il sesso alla bellezza, alla moltiplicazione gioiosa dell’espansione, tutte testimoniano un piacere che solo tanto tempo dopo è stato castigato. Le creature viaggiano eroticamente. Dal Ratto delle Sabine al complesso di Edipo, da sempre si sa che la sopravvivenza è legata al dialogo tra mondi differenti, poiché si può amare solo il diverso, e più lo si cerca lontano, più cresce la sapienza e il godimento. A questa legge non si può sottrarre neanche l’arte. Lo sperimentare per Simone Bertugno è comunque erotico, e copre anche lo spazio che va tra il fenomeno raro, il prodigio, e l’amore per le infinite ramificazioni e diramazioni della fantasia, che in natura diventa conoscenza: non c’è attrazione maggiore di quella che unisce desiderio e sapienza.