A.R. PENCK
Il Museo d’arte di Mendrisio dedica una importante mostra retrospettiva a A.R. Penck, pseudonimo di Ralf Winkler (Dresda, 1939-Zurigo, 2017), tra i più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento, colui che, insieme ad altri pittori e compagni (Baselitz, Lüpertz, Polke, Richter, Immendorff e Kiefer) ha saputo esprimere le contraddizioni della Germania post-nazista e del conflitto Est-Ovest mediante un linguaggio originalissimo seppur concepito nelle forme espressive tradizionali, come pittura, disegno e scultura.
La mostra, a cura di Simone Soldini, Ulf Jensen e Barbara Paltenghi Malacrida, riunisce oltre 40 dipinti di grande formato, 20 sculture in bronzo, cartone e feltro, una settantina tra opere su carta e libri d’artista e intende ripercorrere le principali tappe dell’opera di uno degli esponenti più significativi dell’arte internazionale degli anni Settanta e Ottanta.
Con questo progetto il Museo d’arte di Mendrisio si pone l’obiettivo di presentare il percorso creativo di A.R. Penck, per la prima volta in ambito culturale italofono, attraverso le sue espressioni multiformi, cercando di fornire al pubblico gli strumenti per poter comprendere la struttura complessa e profonda di questo grande protagonista dell’arte contemporanea.
Nato a Dresda, per decenni è attivo nella Germania dell’Est con opere di chiara ispirazione socialista, riuscendo a far tesoro di condizioni allora apertamente ostili all’arte d’avanguardia: mentre il socialismo nega all’artista moderno qualsivoglia funzione, A.R. Penck sa trasformare col tempo la funzione della propria pittura in un elemento in dialogo col sistema sociale e politico. Fino alla fine degli anni Settanta, tuttavia, espone raramente nell’allora DDR. È soltanto dall’inizio degli anni Settanta che A.R. Penck riesce a partecipare a mostre; non in patria, ma in Svizzera, Paesi Bassi e Canada, riscuotendo ampi consensi. Nel 1972 espone a documenta 5 di Kassel chiamato da Szeemann; all’inizio degli anni Ottanta è tra i protagonisti delle rassegne, fondamentali per la pittura moderna, A New Spirit in painting (Londra) e Zeitgeist (Berlino). Paradosso della Germania divisa è proprio il fatto che la sua opera, così fortemente legata all’analisi della situazione socio-politica, sia riconosciuta e apprezzata solo all’Ovest, e mai nella sua terra d’origine.
Nel 1980, quando, dopo l’ennesimo contrasto con le autorità, emigra all’Ovest, A.R. Penck è ormai considerato uno dei protagonisti della scena pittorica mondiale e ha già suscitato grande interesse nell’allora capitale dell’arte, New York. Jean-Michel Basquiat e Keith Haring lo ammirano per la sua vigorosa pittura monumentale, capace di delineare la complessità del mondo con la spontaneità e l’immediatezza di un graffitista.
Nel 1984 viene celebrato con una personale alla Biennale di Venezia; nel 1988 la Neue Nationalgalerie di Berlino lo consacra definitivamente con una grande retrospettiva. Le fondamenta della sua pittura monumentale risalgono alla fine degli anni Sessanta, con la nascita del progetto Standart (tuttora inesplorato nella sua complessità). Come una sorta di monumentale avatar, Standart simboleggia l’autocoscienza dell’artista, quella con cui A.R. Penck porta avanti il suo progetto solitario, in linea con le idee del Bauhaus: la trasformazione della società moderna secondo criteri estetici. È proprio la figura Standart, con cui si identifica tutto l’universo figurativo di A.R. Penck, a costituire il punto di partenza della mostra organizzata dal Museo d’arte Mendrisio, dove si potranno ammirare una folta serie di suoi capolavori. Oltre a presentare dipinti di grande formato, la mostra di Mendrisio metterà in evidenza per la prima volta attraverso molti libri d’artista (esposti su appositi proiettori) la coerenza strutturale del lavoro penckiano, dallo schizzo all’opera monumentale: una mimesi della natura. La sua formazione scientifica (dalla filosofia alla cibernetica) lo porta a orientarsi al modello evolutivo ricercando nuove forme, nuovi segni, nuove tipologie figurative.
Nel corso degli anni Settanta, A.R. Penck attinge all’eredità dell’avanguardia storica, da Malevich a Kandinsky, Da Picasso a Duchamp, da Picabia a Dalí. Mentre in Occidente la pittura moderna viene ormai considerata un’esperienza storicamente conclusa, egli continua a percepirla come il risultato di un’azione collettiva, innescando una prorompente evoluzione dell’immagine che, dopo il suo trasferimento nella Germania dell’Ovest, si trasforma in sintesi monumentale.
Grazie alla sua celeberrima figura stilizzata, quella che lo porta a fama internazionale (spesso percepita unicamente come cifra stilistica, non come elemento di un elaborato sistema di comunicazione) A.R. Penck si rivela invece l’artista che, più e meglio di altri, ha saputo trasformare il campo figurativo in un megafono attraverso il quale diffondere le proprie convinzioni teoriche ed estetiche. La sua pittura monumentale si riallaccia sia al genere storico, specchio degli eventi contemporanei, sia alla pittura simbolica, a cui dà voce attraverso un intero bestiario di figure totemiche o animali arcaici.
A.R. Penck figura anche tra i protagonisti della scultura dell’ultimo trentennio. Si occupa di scultura fin dalla giovinezza, e il suo primo gruppo plastico è costituito dai modelli realizzati con materiali poveri nell’ambito del progetto Standart; a metà degli anni Settanta realizza a colpi d’ascia sculture in legno.
A partire dal 1984 si concentra sulla tecnica di fusione in bronzo, lavorando a diversi formati fino a giungere alla dimensione monumentale, con un percorso analogo a quello già seguito in pittura.
Una sua grande opera in bronzo dal titolo Ich Selbstbewusstsein (Io Autocoscienza) accoglie i visitatori nel chiostro del Museo.