Contemporary Art Magazine
Autorizzazione Tribunale di Roma
n.630/99 del 24 Dicembre 1999

Umanità al sapor di fragola: le opere in chewing gum di Maurizio Savini

Maurizio Savini lavora da molti anni con il chewing gum rosa per dare vita a grandi sculture, installazioni e scenografie teatrali. Ironia, provocazione, ma soprattutto riflessione sulla condizione umana
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In che modo è nata l’idea di utilizzare il chewing gum come materiale delle tue sculture?
Penso che sia stata la volontà e l’interesse di ciò che mi ha sempre stimolato la mia curiosità: la storia dell’arte, la geopolitica e la condizione umana. In quel periodo, tra il 1990 e il 1996, sperimentavo in continuazione, volevo uscire dal “Quadro”. La mia sperimentazione partiva dalla miscelazione di vare sostanze chimiche per ottenere dei colori insoliti. Lavoravo con le resine naturali e chimiche, fino ad arrivare al pane, l’acqua, le patate. Dunque non so come esattamente sia arrivato al chewingum, è stato il frutto di un’incessante sperimentazione che continua ancora oggi.

La scelta del materiale vuole essere una critica al consumismo?
Bè sai, con il mio lavoro mi occupo di affrontare tematiche legate alla storia, alla politica, di riflettere sulla condizione umana in generale e su di quest’ultima in relazione al nostro pianeta. Credo che tutto ciò generi una critica del sistema dominante: inevitabilmente il consumismo è una parte di esso.

Perché la scelta di un materiale effimero?
L’incertezza, la paura, l’affanno e l’impegno che mettiamo nel costruire la nostra vita: la nostra condizione sociale può rivelarsi effimera. Purtroppo non si vive di certezze. E visto che tutto è effimero, è solo una notevole voglia di affermazione che ci distingue dagli animali. Il percorso della nostra vita è una continua competizione con il tempo, ed è proprio il tempo il protagonista del mio lavoro. Spesso mi pongo delle domande: “Quanto durerà questa scultura?” Oppure: “Vivrò per sempre?” MI è stato dato poco tempo per capirlo.

Come reagiscono i bambini davanti ai tuoi lavori?
I bambini stupiscono sempre, stupiscono noi adulti ma non c’è da stupirsi se non della nostra stupidità. Un bambino ha sempre delle reazioni spontanee senza filtri, dunque si stupisce.

Il procedimento di realizzazione è costituito da varie fasi. Si parte dal gesso se non sbaglio e poi…
Il procedimento è un passaggio delle tradizionali tecniche di scultura e formatura.

Ed è importante sottolineare che le sculture non sono coperte dalla gomma, bensì…
La procedura che risiede alla base del mio lavoro mi conduce a riscolpire la materia, dunque il calco è un’impronta e la gomma viene modellata. Ritengo che sia molto importante sottolineare che tutte le mie sculture sono tutte esemplare unico. Non ripeto mai una scultura, se scelgo di riproporre un soggetto, quest’ultimo è senza alcun dubbio differente dal primo.

L’immagine di partenza è un disegno, una fotografia, o altro?
L’immagine di partenza è nella mia testa. Qui riesco a vedere immagini finite, ma ovviamente, se si tratta di un ritratto, guardo uno scatto fotografico. Per gli animali, cerco di guardare il meno possibile vado a memoria.

Lo sai che ogni volta che le vedo penso sempre a Medardo Rosso?
Ti ringrazio, Medardo Rosso è stato uno scultore incredibile, forse le opere e il loro non-finito, realizzate con la cera, possono avere un rimando alla mia opera.

Sarà anche che la loro superficie sembra in continuo movimento…
Il movimento, la dinamica, servono per sfuggire alla staticità di alcune sculture, è anche un escamotage per aiutare l’occhio e sollecitare la mente…in fondo è una “macchina”, una palestra per allenare il pensiero.

E la luce?
La luce è completamente assorbita dal colore

E il profumo di fragola?
La parte olfattiva a volte gioca un ruolo principale. In passato ho realizzato lavori dove era presente soltanto il sapore, …poi l’odore…a volte ho fuso la gomma lasciando nell’aria questo odore artificiale, sappiamo che l’olfatto ha tanti occhi.

Alcuni dei soggetti dei tuoi lavori sono uomini. Vuole essere una riflessione sulla condizione umana? D. Altri ancora sono animali, una zoologia artificiale. Come vengono scelti? Sono legati al tema dell’ecologia?
Gli animali che mi interessano, tranne il coccodrillo, vivono nel nostro territorio. Spesso arrivano fino ai centri abitati e la loro condizione è dettata dall’uomo che impoverisce il territorio costringendoli a migrazioni urbane. Ovviamente tutto ciò avviene attraverso la mano di un altro mammifero: l’uomo. L’uomo che sfrutta il pianeta impoverendolo che costringe anche gli altri esseri umani a disperate spostamenti. Il manager che precipita dalla Torre, simile ad un Icaro, non è altro che la mera rappresentazione della condizione umana. Dunque, come osservava Ernst Mayr, la vita e la storia su questo pianeta si possono misurare attraverso l’idea che sia “meglio essere intelligenti che stupidi”. Ma questo è un dato che se si rovescia completamente se si osserva l’andamento della politica e dei costumi delle società umane complesse. Se vogliamo parlare in termini di successo biologico, i batteri sono più evoluti degli esseri umani nella loro capacità di riprodursi. Per questo Mayr osservava, con raffinato nichilismo, che la vita media di una specie è di circa centomila anni. Se ripercorriamo la teoria di Mayr sul tema della riproducibilità e la rendiamo applicabile all’arte contemporanea, avremmo anche qui un’evoluzione che consiste in una stratificazione di immagini.

Si tratta di un materiale deperibile, richiede una specifica manutenzione? E come avviene il restauro?
Il restauro dei miei lavori è affidato sempre ad un paio di restauratrici che hanno lavorato con me. Sono state scritte anche delle tesi di laurea sul restauro e sulla conservazione del mio lavoro. Io stesso spesso vengo invitato a convegni sulla conservazione della mia opera.

Le tue opere hanno un riferimento letterario?
Ovviamente come tutta l’arte anche la mia ha dei riferimenti letterari. I miei interessi riguardano autori di cui abbiamo parlato nelle altre risposte e in più potrei dirti che amo molto la poesia ma anche questo è riduttivo. Sono tantissimi i libri che mi hanno formato e che continuo a consultare.

E nella storia dell’arte?… hai degli “amori”?
Ettore Spalletti e Joseph Beuys.

Qualcuno ha scritto che i tuoi lavori spaziano tra realismo e surrealismo…
Forse un Realismo magico”, forse inteso come “doppia immagine”… ma a dirti la verità non capisco bene il termine surrealismo legato al mio lavoro. Il Surrealismo aveva altre intenzioni, che non sono le mie.

Nel 2002 le tue opere sono diventati elementi scenografici nel balletto “La fin du jour” in occasione del Maggio Musicale Fiorentino. Come nasce questa esperienza e come è stato lavorare in un contesto teatrale?
La scenografia per me, che sono un “pittore”, è stata sempre la messa in scena animata del mio lavoro. Spesso ho scenografato testi scritti in collaborazione con altri autori. Nel caso del Maggio Musicale Fiorentino mi sono relazionato con il racconto: il coreografo, i danzatori, il direttore, d’orchestra, l’insegnante del corpo di ballo, costumisti e tecnici delle luci. E’ nato un lavoro di squadra meraviglioso e le cose cambiavano giorno per giorno. Ho modificato dei volumi, spostato le quinte anche per realizzare cambi di scena seguendo lo spartito musicale. E’ stata un’esperienza che mi ha poi permesso di vedere meglio il mio lavoro in relazione e all’interno dello spazio.

Facciamo un salto nel passato. Ho letto che hai frequentato a lungo lo studio di Gianni Dessì, pensi che questo abbia influito sul tua lavoro?
Si ho frequentato per molti anni lo studio di Gianni Dessì collaborando sia nello studio che in occasione di moltissime mostre. Non mi sono mai sentito condizionato dal suo lavoro pur apprezzandolo a fondo. Quello che ho appreso in quegli anni è stata la leggerezza, il modo di approcciare e relazionarsi con l’opera, la condizione stessa dell’artista. Quello che ho sempre amato del lavoro di Gianni è che tutto sembrava estremamente semplice, era come se le opere si risolvessero da sole. Credo che questo sia l’aspetto che ha influenzato di più.

Come era la scena degli anni Novanta a Roma? C’erano anche punti di incontro?… gallerie, caffè, ristoranti…
Ovviamente ho dei ricordi meravigliosi ma non ho nostalgia. Non penso che le cose siano cambiate molto. Prima ci si incontrava in alcuni posti che forse oggi non esistono più. Ma oggi gli artisti hanno i loro nuovi luoghi di aggregazione, sono nate delle associazioni di artisti come Spazio Situ, Spaziomensa e trovo che in questo caso siano molto più organizzati di come eravamo noi. Comunque a Roma la scena dell’arte era molto vitale, c’erano gallerie molto attive. In quel periodo nasceva Futuro, un’associazione culturale guidata da Pratesi, che in quel periodo era molto attivo. Poi cerano alcuni santuari come Sperone, Sargentini…che dirti ci siamo divertiti molto. Ah! Ricordo che c’erano i critici d’arte. I curatori erano ancora in uno stato pre-embrionale (ride).

Cosa pensi dell’attuale sistema dell’arte?
Ti rispondo in modo molto sintetico: dovremmo preoccuparci della salute dell’arte. Il sistema lo alimenta l’arte stessa, bisogna vedere chi è più malato e ricorrere ai ripari, curiamo prima l’arte o il sistema?

15 Marzo 2022

Alessandra Caponi

Alessandra Caponi nasce a Roma nel 1981. Dopo la laurea in Storia dell’Arte Contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tre, si specializza sull’arte degli anni Sessanta a Roma. Collabora con Gino Marotta per cinque anni nella gestione dell’archivio e organizzazione delle mostre. Lavora con collezionisti privati nella realizzazione di archivii cartacei e digitali. Recentemente ha scritto il testo critico “Committenza pubblica e privata: cinema, teatro, arredamento 1940-1958” in occasione della mostra Leoncillo. Materia radicale presso la Galleria Lo Scudo di Verona. Vive e lavora a Roma.

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