Contemporary Art Magazine
Autorizzazione Tribunale di Roma
n.630/99 del 24 Dicembre 1999

Trasparenze. l’arte della leggerezza e dell’immaterialità

La ricerca di trasparenza degli artisti moderni soddisfa da una parte la sentita necessità di svelare le verità metafisiche nascoste dietro le apparenze.
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L’uomo cerca da sempre un sistema per giungere alla rivelazione delle verità ultime, del senso profondo dell’esistenza. Una investigazione continua e tormentosa resa difficile dalla presenza, per usare le parole di Eugenio Montale, di “una muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia (Eugenio Montale, Ossi di seppia, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1984). L’animo umano anela alla scoperta dell’ “anello di catena che non tiene/ il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità” (Eugenio Montale, op. cit.). Una crepa nel muro o un brano di materia diafana e trasparente che consenta di vedere l’oltre. Parlando delle sue opere letterarie, Italo Calvino afferma di “aver cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città. Soprattutto ho cercato di togliere peso alle strutture del racconto e del linguaggio” (Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti editore, 1988). Questa ricerca di immaterialità, di incorporeità approda alla figura di Agilulfo, il protagonista de Il cavaliere inesistente: “Agilulfo parve esitare un momento, poi con mano ferma ma lenta sollevò la celata. L’elmo era vuoto. Nell’armatura bianca dall’iridescente cimiero non c’era dentro nessuno” (Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, Palomar srl e Arnoldo Mondadori Spa, Milano, 1993). Calvino trova nel bisogno di leggerezza e immaterialità il senso dell’epoca del computer e dell’informatica, di un universo intangibile in cui tutto è trasparente, aereo, volatile, etereo: “La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma di impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso” (Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti editore, 1988). Lo scrittore di Santiago de Las Vegas intuisce, con preveggenza da artista, il ruolo che avrà il “virtuale” negli anni Duemila. La pesantezza della realtà fisica viene sostituita dalla leggerezza della realtà virtuale. La ricerca di trasparenza degli artisti moderni soddisfa da una parte la sentita necessità di svelare le verità metafisiche nascoste dietro le apparenze e dall’altra l’esigenza di registrare le manifestazioni e contraddizioni di una società fondata su elementi virtuali, incorporei.

Uno sguardo che non si ferma, che aspira a catturare l’immensità dell’esistente. Uno sguardo che non conosce limiti quello dell’Auditorium Niccolò Paganini di Parma, opera dell’architetto Renzo Piano. Si tratta di un autentico monumento alla trasparenza. La struttura è formata da due pareti laterali “piene” in muratura e la facciata e la parete di fondo “vuote” poiché di vetro. L’occhio può così bucare l’auditorium da parte a parte, l’orchestra e la natura del parco che avvolge l’edificio vengono catturate insieme dalla vista, fondendosi. Renzo Piano lavora per alleggerire l’edificio, operando in “levare”. Come afferma lo stesso architetto genovese: “Il nostro auditorium doveva essere una ‘camera chiara’, un contenitore acusticamente perfetto ma trasparente. Vedere e sentire dovevano fondersi in un’unica esperienza” (Renzo Piano. Giornale di bordo, Passigli, Firenze, 1997). Una struttura a vista, culminante in un tetto a spioventi, in un lavoro di smaterializzazione in cui a dominare è la luce.

La leggerezza cerca con tenacia Henry Moore nelle sue sculture. Tipico è il caso di Figura sdraiata del Museum of Modern Art di New York in cui il gioco di pieni e di vuoti è anche un’alternanza tra le trasparenze delle aperture nella statua (come nello spazio tra il braccio e il fianco sul quale la mano è appoggiata o in quello sotto l’ascella dell’altro braccio che si sostiene alla base della struttura) e l’opacità delle parti formate dalla materia. E’ in questi punti aperti che lo sguardo trapassa la scultura e vede oltre, percepisce cosa vi è dietro il piombo di cui è fatta l’opera. In questi lavori “vuoto e pieno sono soltanto due sostanze di densità diversa, che si muovono l’una nell’altra senza mescolarsi come una massa oleosa nell’acqua” (Giulio Carlo Argan, L’arte moderna 1770-1970, Achille Bonito Oliva, L’arte oltre il Duemila, Sansoni editore, 2003).

Salvador Dalì ne L’ultima cena (1955) della National Gallery of Art di Washington mostra la scena della cena in un totale in primo piano che comincia a dissolversi mentre sullo sfondo si materializza un paesaggio roccioso. In una sorta di “dissolvenza incrociata” cinematografica, il pittore di Figueres fa sì che le poderose strutture a vista della sala nella quale si svolge l’evento sacro diventino evanescenti per far posto al  paesaggio retrostante e, nella parte alta del dipinto al torso e alle braccia di una figura maschile acefala. Grazie alle trasparenza e al dissolversi delle pareti della camera nella quale si trovano Gesù e gli apostoli, Dalì ottiene una totale fusione tra ambienti interni ed esterni. Anche in Il volto di Mae West (utilizzabile come appartamento surrealista) (1934) dell’Istituto d’Arte di Chicago Salvador Dalì sfida la legge fisica dell’impenetrabilità dei corpi. La compenetrazione del volto di Mae West con una stanza dal pavimento ligneo è totale: gli occhi della diva sono inseriti dentro due quadri appesi alla parete di fondo e le sue labbra formano un divano. Il pittore spagnolo va oltre il concetto di trasparenza poiché nella sua arte nulla blocca lo sguardo e lo spettatore vede contemporaneamente ciò che sta davanti e ciò che vi è dietro.

La ricerca di trasparenza di René Magritte trova le sue vette artistiche in opere quali Il donatore felice (1966) del Musée d’Ixelles a Bruxelles in cui un’apertura a forma di silhoutte di un uomo con bombetta in un muro grigio scuro permette di scorgere un paesaggio che ricorda uno dei massimi capolavori dell’artista belga L’impero delle luci (1954) della collezione Peggy Guggenheim di Venezia. La parete non riesce a nascondere l’oltre, l’occhio penetra e chi vuole e sa vedere scopre la realtà dietro le apparenze ingannevoli. Rappresentante di punta del surrealismo,  Magritte mostra una vena intellettualistica che esprime in lavori fondati su doppi sensi sorprendenti. L’artista opera sullo sguardo dello spettatore, invitandolo a guardare il mondo con occhi nuovi. L’aspetto spiazzante delle sue opere, nelle quali crea accostamenti imprevedibili, genera nel riguardante una sensazione di assurdità che mostra una straordinaria consonanza tra i dipinti e l’attività dell’inconscio, dentro il quale si realizzano abbinamenti impossibili. Questa dimensione onirica si ritrova anche ne La condizione umana (1935) della collezione Happé-Lorge di Bruxelles in cui da un’apertura ad arco si vede un paesaggio marino che è la prosecuzione di quello dipinto su di una tela appoggiata su di un cavalletto. Come in un rapporto osmotico, realtà vera e realtà dipinta si compenetrano l’una nell’altra. Il bordo bianco della tela e una porzione di muro dietro il cavalletto avvertono lo spettatore che la tela non è trasparente ma che il dipinto prosegue direttamente nel paesaggio. Come spesso accade nei suoi dipinti Magritte gioca con un effetto trompe l’oeil e come afferma Argan “L’inganno ottico diventa inganno psicologico” ( Giulio Carlo Argan – Achille Bonito Oliva, op. cit.).

Di solito abituato alla pesante matericità del legno, Mario Ceroli si concede, di quando in quando, incursioni nella diafana leggerezza del vetro e del cristallo. Nella spettacolare scultura Maestrale (1992, collezione privata) una serie di lastre di cristallo, tenute insieme da cilindri metallici, di un verde trasparente simula un’onda gigantesca, un cavallone che nel suo dinamico movimento viene bloccato mentre sembra richiudersi sullo spettatore. L’artista di Castelfrentano aveva inizialmente realizzato l’opera in legno ma in seguito ha voluto rendere le trasparenze del mare ricorrendo al cristallo.

La trasparenza è anche l’approdo della ricerca concettuale di Giulio Paolini sul linguaggio della pittura e sulle contraddizioni insite nell’atto stesso del vedere. Per l’artista genovese l’arte deve essere fondata sulla componente intellettuale per stimolare un processo mentale nello spettatore che non è più percepito come ricettore passivo delle idee dell’artista ma come collaboratore che  completa, con la sua psiche, l’opera. La sua Immacolata Concezione-Senza Titolo (2007-2008) è una struttura leggera e trasparente, formata da cubi sovrapposti di dimensioni decrescenti, che sollecita il riguardante a concepire una propria personale interpretazione dell’opera.

All’interno dell’esperienza dell’Arte Povera si muove Mario Merz che inserisce nella sua opera materiali come il neon inteso “non come affermazione dei valori della nostra civiltà ma come strumento banale, quotidiano” (Pierluigi De Vecchi-Elda Cerchiari, Arte nel tempo, Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas spa, 1991). L’artista milanese realizza con Senza titolo (triplo igloo) (1984 – 2002, Maxxi, Roma) tre igloo trasparenti inglobati l’uno nell’altro come in una colossale matrioska. La struttura è fondata sulle decrescenti dimensioni degli igloo secondo la prassi artistica di Merz che fonda il proprio lavoro sulla serie numerica di Fibonacci. In tale sequenza ogni numero è uguale alla somma dei numeri che lo precedono. Nella sua assolutezza l’igloo rappresenta uno spazio geometricamente perfetto e, nella sua forma semisferica,  perfettamente chiuso in sé. In quanto elemento architettonico esso è incentrato tanto su regole matematiche quanto su criteri estetici.

15 Giugno 2022

Fabio Massimo Penna

Laureato in Lettere, è giornalista pubblicista ed editor. Ha scritto su varie testate sia cartacee che online, occupandosi prevalentemente di arte, cinema e letteratura. Il suo interesse è rivolto in particolar modo alle contaminazioni e interconnessioni tra le varie forme espressive e creative.

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