Contemporary Art Magazine
Autorizzazione Tribunale di Roma
n.630/99 del 24 Dicembre 1999

La materia ribelle di Hervé

Il grande fotografo di origini ungheresi trasformò lo sguardo della materia nell’architettura, con geometrie innovative e punti di vista spregiudicati
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A Marsiglia nel 1948, davanti a un cantiere di Le Corbusier c’era un cartello che diceva: “I signori fotografi sono pregati di consegnare le fotografie scattate”. Cominciò così un sodalizio leggendario tra il grande architetto e Lucien Hervé, nato a Hódmezővásárhely  in Ungheria nel 1910 col nome originario di László Elkán. La sua visione così originale della materia solida per eccellenza, l’architettura, che violava tutte le regole  regalando sorprendenti geometrie, lo fece apprezzare anche da altri architetti famosi come Alvar Aalto, Marcel Breuer, Kenzo Tange, Richard Neutra, Oscar Niemeyer e Aulis Blomstedt. La sua ricerca sul punto di vista della materia avrebbe aperto un nuovo capitolo nella storia dell’immagine, e la scansione del cemento armato nello spazio di vuoti e pieni, aperture e chiusure ed elementi sempre più semplificati della modernità, (“Less is more”), conquisterà straordinari orizzonti per l’inserimento della materia stessa nell’ambiente, dove Hervé si troverà sempre più inserito in una filosofia dirompente di rinnovamento delle geometrie del paesaggio umano.  Ma arrivò solo in età adulta questo riconoscimento, in precedenza la sua vita fu molto avventurosa e vale la pena riassumerla nei suoi punti salienti. Sin da giovane frequentava gli ambienti proletari di Budapest e non sopportava l’atmosfera delle origini borghesi della madre. Per gli studi universitari andò a Vienna, scelse economia, ma contemporaneamente studiava disegno artistico;  nel 1930 andò a Parigi e diventò impiegato di banca dove combinò qualche pasticcio e finì nella lista nera, che non gli consentiva di lavorare. Riuscì però a imporsi come fashion designer e nel 1932 conquistò case di moda come Lanvin e Chanel. Durò poco perché seguì la sua passione politica e diventò uno dei principali esponenti della Cgt (il maggior sindacato dei lavoratori in Francia), guidando gli scioperi dei dipendenti delle Case di moda. Incredibilmente nel 1938 riuscì a ottenere la cittadinanza francese ma venne espulso dal partito comunista. Collaborò con un fotografo ungherese e finalmente nel 1939 diventò fotoreporter per il periodico “Marianne” . Quando scoppiò la guerra venne arruolato come fotografo dell’esercito ma fu subito catturato e portato in un campo di concentramento della Prussia Orientale, dove fondò un partito comunista clandestino.  La Gestapo lo individuò subito e lo isolò; con grande coraggio riuscì a fuggire e si unì alla Resistenza francese. Dopo la guerra riprese l’attività politica e collaborò con François Mitterrand, ma nel 1947 fu espulso di nuovo dal partito comunista. Ricominciò a collaborare come fotografo con “France illustration”, “Point de vue”, “Regards”, “Lilliput”. Arrivò il fatidico 1949, e su consiglio di un padre domenicano andò a Marsiglia per fotografare i cantieri di Le Corbusier, davanti ai quali troneggiava il cartello di cui abbiamo parlato:  realizzò in un giorno 650 scatti che conquistarono il grande architetto e lo fecero diventare il suo fotografo ufficiale.

Forse le regole sono fatte per essere violate. Di fatto le fotografie di architettura tuttora seguono il principio fondamentale di realizzare visivamente il progetto grafico dell’architetto, e il fotografo si attrezza di macchine speciali che consentono attraverso i movimenti di basculaggio e decentramento di rispettare le reali proporzioni degli edifici. La foto di un intero palazzo, scattata con una macchina fotografica qualsiasi inevitabilmente trasforma la facciata in una specie di missile. Con una speciale fotocamera di grande formato che si chiama banco ottico, attraverso i movimenti dei due corpi mobili, la standarta anteriore dove si inserisce l’obbiettivo e la standarta posteriore dove si inserisce la pellicola, collegate da un generoso e flessibilissimo soffietto, si ottengono le prospettive perfette richieste dalla regola d’arte.

Nel 1955 accompagnò Le Corbusier in India a Fatehpur Sikri, Delhi and Jaipur, dove fotografò sia gli edifici governativi in costruzione sia i palazzi storici. Gli fu commissionato un servizio sugli uffici dell’Unesco a Parigi, progettati da Marcel Breuer, Pier Luigi Nervi e Bernard Zehrfuss, e seguì i lavori per tre anni, sino al loro completamento. Dopo alcuni lavori in Spagna e un ritorno in India fu ingaggiato dall’Istituto archeologico francese per il Medio Oriente e documentò i siti archeologici in Siria, Libano e Iran. Entrò a far parte della redazione di “Carré Bleu”, un giornale di architettura, ma nel 1965, lo stesso anno in cui morì Le Corbusier, apparirono i primi segni di sclerosi multipla, che progressivamente limitò molto il suo lavoro, fino a occuparsi soltanto di collages e di mostre, specialmente dopo il 2000, quando morì il figlio di appena 43 anni.

Durante la sua incredibile vita gli furono riconosciuti innumerevoli e prestigiosi riconoscimenti, dalla Legion d’Honneur per il suo impegno durante la Resistenza alla medaglia per le Belle Arti dell’Accademia di Architettura di Parigi, dalla nomina di Cavaliere delle Arti e delle Lettere al Gran Premio di Fotografia della città di Parigi,e in Ungheria divenne membro dell’Accademia Széchenyi di Arte e Letteratura.

Venne a mancare il 26 giugno del 2007 a Parigi, all’età di 96 anni.

22 Settembre 2022

Roberto Vignoli

Roberto Vignoli ha lavorato con le agenzie fotografiche Image Bank, Action Press, Granata Press, Grazia Neri, MaxPPP, Luz Photo, per 12 anni e' stato responsabile degli Esteri all'ufficio fotografico dell'"Espresso", ha fatto piu' di cento mostre fotografiche in Italia, Francia Ungheria, Argentina, Cuba, Stati Uniti, Turchia e Australia, insegna fotografia di architettura al Centro Sperimentale di Fotografia a Roma e collabora con il quotidiano "La Ragione".

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