Quando musica e luce danno appuntamento alla perfezione dei corpi, che si slanciano su fino alle nuvole, si avvolgono e si liberano, melodiosi e inarrestabili, fino a spargersi sul palco come un’ombra dell’ombra, c’è un istante che riassume l’incanto di questa magia del ballo. È lo scatto assoluto, l’attimo fuggente che Massimo Danza non perde mai. Per questo viene richiesto dai più importanti coreografi e organizzatori come fotografo indispensabile per gli eventi prestigiosi.
Nasce a Roma il 16 dicembre 1962 e si appassiona alla fotografia ad appena diciassette anni. L’approccio è casuale, deve aiutare un allievo della madre, che insegna Storia dell’Arte, per un lavoro in camera oscura. Erano i tempi della fotografia chimica, ci si armava di ingranditore e bacinelle e dopo aver sviluppato i negativi si stampavano, in quel buio misterioso che una tenue luce rossa rischiara appena. Fu lì che vide comparire nella bacinella l’immagine di una ballerina, fu lì che decise l’urgenza di fare il fotografo nella vita.
E infatti dopo il liceo si iscrive all’Istituto Europeo di Design, unica e costosa scuola di fotografia a Roma in quegli anni. Subito dopo inizia a lavorare: collabora non solo con lo studio Luxardo, dove fotografa politici importanti come Craxi e Andreotti, ma anche con grandi aziende come Agip, Ford, Esso, Klm per la pubblicità. All’inizio degli anni Novanta inizia a lavorare per l’agenzia Croma e si occupa di spettacoli. Giorgio Albertazzi, Eleonora Brigliadori, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Valeria Marini sono nel suo mirino, talvolta anche per i servizi posati. Quando partecipa al Galà per la raccolta fondi a favore della missione italiana in Kosovo, oltre a documentare gli spettacoli cui partecipano Carla Fracci e Raffaele Paganini, si ritrova a fare il fotoreporter di guerra: è un’esperienza breve ma che resta indelebile nella sua coscienza. Di fatto però, la Fracci e Paganini riaprono un capitolo che lo attende come in un agguato dal tempo della ballerina che lentamente appare nella vaschetta della camera oscura.
Se per un pittore il corpo umano, la sua muscolatura e l’ombreggiatura di questa rispetto a una luce affilata o frontale sono ingredienti al centro di tutto il suo lavoro, non da meno è il fotografo; sia esso specializzato nei nudi o nei ritratti, torna in cattedra la filologia del termine. Fotografia, che viene dal greco phos (luce) e graphos (scrittura) significa per l’appunto scrittura della luce, e tanto più per un fotografo coreutico come Massimo Danza, i corpi e il loro rapporto con l’illuminazione, con lo spazio, e con la musica sono coordinate su cui costruire la qualità degli scatti e la soluzione degli innumerevoli problemi tecnici. Uno di questi è la gestione del contrasto nell’inquadratura, brillantemente risolto attingendo al sacro bagaglio di uno dei maestri indiscussi della ripresa, Ansel Adams, autore della più fortunata opera sull’argomento, edita in tre volumi, con i quali sancisce la perfezione dell’esposizione con l’invenzione del cosiddetto “Sistema zonale”.
Dunque questi corpi volano, si librano nell’aria in quell’universo piccolo ma anche sconfinato che è il palco. In un certo senso anche Massimo deve volare, il suo obbiettivo deve arrivare dove nessun altro può, anche perché le figure da mettere a fuoco sono Svetlana Zakharova, ballerina numero uno al mondo, Nicoletta Manni, étoile del corpo di ballo della Scala di Milano, Marianela Nuñez, prima ballerina del Royal Ballett. Il movimento dei corpi di queste libellule si nutre di suoni ma anche di coreografie che valorizzano le loro prestazioni, e Massimo segue Eleonora Abbagnato, già étoile dell’Opera di Parigi, che dirige il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma, e Luisa Signorelli, coreografa e produttrice di tutorial per l’insegnamento del ballo, protagonista riconosciuta del settore. L’attenzione di Massimo verso le coreografie, lo rende esperto anche per la ripresa dei movimenti corali, e non sono rari gli scatti dove i ballerini in volo sono parecchi, impresa che denota una conoscenza approfondita dei movimenti in sincronia dei componenti dell’intera scena, della storia narrata che si sviluppa attraverso una rappresentazione d’insieme, e anche dell’intera opera nel suo complesso, che si offre al pubblico ovviamente anche a titolo di storia narrata. Il suo fiuto per lo scatto giusto, che non significa scaricare col motore della fotocamera centinaia di foto spesso inutili, lo ha reso uno dei fotografi migliori, inseguito dal suo destino di chiamarsi Danza e amare la danza.