Eduarda Emilia Maino, in arte Dada Maino dal 1957 al 1962 e poi Dadamaino a partire dal 1963, nasce a Milano nel 1930 e muore nella stessa città nel 2004.
Artista dell’arte programmata, comincia la sua carriera da autodidatta con la pittura: tra il 1945 e il 1950 dipinge vasi di fiori. Poi conosce l’opera di Lucio Fontana, che per lei è stata una rivelazione, e da allora è iniziata la sua storia artistica; sono i primi anni ’50.
Il suo totale immergersi nello spazio la porta a scoprire possibili nuove dimensioni, non per creare qualcosa di differente, ma qualcosa di nuovo. Lavora con le superfici specchianti, il monocromo, il colore, i colori fluorescenti, le diverse prospettive nell’esplorazione concettuale della profondità della tela e ricerca effetti ottici dinamici. Studia la percezione e la geometria, e si basa su precisi calcoli matematici.
Attraverso una dinamica illusoria, le sue opere, nonostante siano statiche, appaiono in un costante stato di movimento e trasformazione. Della sua ricerca, rimane l’instancabile esplorazione della superficie come un limite, qualcosa che va attraversato e apre ad ogni sorta di possibilità.
Negli anni ’50 conosce Piero Manzoni, che le sarà sempre accanto promuovendo la sua arte. Espone con lo stesso Manzoni, con Baj, Crippa, Fontana. Frequenta il Bar Giamaica, luogo dove si riunivano gli artisti dell’avanguardia milanese.
Del 1958 la sua prima doppia personale: “Maino Dada, Pivetta Osvaldo” al Circolo Cultura di Milano. In questa occasione il critico Miklas Varga commenta così il suo lavoro: “Opere di nuovissima tendenza con equilibrio di volumi sapientemente costruiti dove i rapporti spazio-luce raggiungono una propria autonomia, creando elementi convertibili in nuove sensazioni visive e infine una modernissima dinamica.” Poi nel 1959, la sua prima personale alla Galleria Prisma di Milano a cura di Enotrio Mastronardo dove presenta opere in prevalenza monocrome con una gamma cromatica chiara mentre incisioni penetrano nel colore. Nello stesso anno apparirà la serie dei “Volumi”, dove si assisterà ad un azzeramento totale dell’arte come era stato per Manzoni e Castellani e sulla scia del Gruppo Zero, del Gruppo T, del Gruppo Enne e del GRAV. In questa serie la tela è monocroma ed è caratterizzata da grandi squarci ovoidali; è l’indimenticabile inizio della sua vera ricerca artistica.
Nel 1960 Manzoni invita Dadamino ad esporre ad Albisola. Il suo interesse si muove sempre all’interno del monocromo, ma questa volta i buchi sono simmetrici e circolari e di varie grandezze: i “Volumi” sono rivisitati e razionalizzati. L’anno seguente Dadamaino espone nello spazio del Gruppo N a Padova e qui presente i “Volumi a moduli sfasati” dove usa fogli di Rhodoid fustellati a mano e disposti con lievi sfasature a poca distanza l’uno dall’altro. Poi compaiono i “Rilievi”: il plexiglass è utilizzato qui in tavolette, rimangono anche i fogli di Rhodoid o di cartoncino, tutti questi media vengono tagliati in innumerevoli lamelle di dimensioni scalari identiche. Compone queste opere affinché i materiali utilizzati siano recettivi della luce a seconda del movimento dello spettatore creando giochi di chiaro-scuro o suggestioni ottiche di movimento. Nel 1961 Dadmaino aderisce al Gruppo Punto ispirato da Lucio Fontana che scrive un pensiero per gli artisti che ne fanno parte: “Capire la condizione del finito nell’infinito è intuire nella realtà di pensiero”, cui seguirà il manifesto. Nel 1962 viene invitata ad un’importante rassegna: “Arte Programmata” alla Galleria La Cavana di Trieste curata da Umbro Apollonio e Getulio Alviani; quest’ultimo le curerà la sua personale nell’anno successive nella stessa galleria. Dadamaino curerà “Oltre la pittura. Oltre la scultura. Ricerca d’arte visiva” con affiche di Bruno Munari e nel catalogo vi saranno i testi, tra gli altri, di Umberto Eco e Gillo Dorfles. Mentre nel 1964 compariranno “Oggetto ottico-dinamico” e “Oggetto ottico-dinamico indeterminato”.
In quest’ultimo tre anelli di metallo speculari e di grandezza degradante verso l’interno si adagiano su di un piano circolare fatto da righe bianche e nere mentre l’illuminazione giunge dall’alto e un motore dà il movimento. Il disegno ottico del piano viene riflesso lungo la superficie specchiante degli anelli, continuamente, si crea così un gioco ottico-cinetico che dà l’idea che siano proprio gli anelli a muoversi e intersecarsi.
Sarà poi anche l’anno delle “Spirali rotanti”: una serie di anelli vengono sovrapposti e vi vengono incastrate lamelle senza alcuna saldatura. I materiali sono diversi: ottone cromato, acciaio inossidabile, alluminio anodizzato o in bagno di vernice fluorescente, ed il plexiglass. Questi materiali sono conduttori di luce, quindi risultano oggetti rotanti e luminosi che emettono dalle lamelle fasci di luce posizionati alla base. Nel 1965 Dadamaino espone, nella collettiva “Nova Tendencija” a Zagabria, il cortometraggio “Ricerca”, dove si vede il processo di uno dei suoi “Oggetti ottico-dinamici indeterminati”. L’anno successivo presenta alla mostra “Pittori oggi in Lombardia” a Villa Olmo di Como due “Oggetti cinetici”, nel primo tre anelli concentrici sono sovrapposi ad una base a righe bianca e nera, nel secondo la base è a righe colorate e in questo caso è la prima volta che ricompare il colore dopo “Volumi”. Nel 1967 inizia la sua “Ricerca del colore” che verrà esposta solo anni dopo e che si compone di una serie di cento tavolette. Nel 1968 riceve la Medaglia del Ministero degli affari Esteri e l’anno successivo realizza per “Campo Urbano”, manifestazione organizzata da Luciano Caramel a Como “Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua”.
Al molo di Sant’Agostino, sul lago di Como, Dadamaino vuole ricondurre la gente al lago affinché lo osservino in una veste diversa rispetto alla quotidianità, per liberare l’immaginazione e le emozioni. Crea così circa 1000 tavolette di polistirolo ricoperte di vernice fluorescente: allo spegnimento delle luci del lungo lago esse emettevano luminosità e riflessi mentre si muovevano nell’acqua. Gli anni ’70 si aprono con la sua dedizione al progetto “Ricerca del colore” per cui utilizza il bianco, il nero, il marrone e i sette colori dello spettro cromatico. Questo progetto sarà esposto nella sua personale del 1970 alla Galleria Diagramma di Milano con cento tavolette 20×20 con 4000 tonalità differenti. Nella stessa mostra verranno esposti i “Fluorescenti”: su tavole vengono applicate strisce di plastica fluorescente che aumentano di dimensione dall’alto verso il basso, mentre vengono colpite dalla luce di Wood e mosse con ventilatore o a mano in maniera tale da coinvolgere lo spettatore in un’esperienza cromo- tattile cinetica; vengono definite da lei “lumino-kinetic”. Nel 1973, alla Galleria La Cappelletta di Osnago, presenta “Morfologia cromatica”: il ciclo è composto da otto tavole 60×60 con, ognuna, 784 cerchi con un diametro di 1,8 cm posti a 2 mm di distanza l’uno dall’altro. Le variazioni di colore sono 28 e sono complementari. Mentre esporrà i “Cromorilievi”, realizzati nel 1972, al Centro d’Arte di Sant’Elmo. Qui, le tavole, hanno elementi aggettanti in legno con diverse combinazioni di volumi, inclinazioni e colori, e sono di formato rettangolare con una disposizione orizzontale. Il 1975 è caratterizzato dalla serie “Inconscio razionale” esposto nella sua personale allo Studio V di Vigevano. È la prima volta in cui i tratti, sottili, sono distribuiti in maniera non programmata su tele monocrome o in bianco o in nero aprendo ad una “scrittura della mente”. Qui l’istinto immersivo si manifesta allo stato puro, come non era mai successo.
E l’anno successivo apparirà l’”Alfabeto della mente” in cui vi sarà sempre un istinto personale. Questo lavoro ha origine da un fatto che aveva colpito molto Dadamaino: vi era stato un eccidio di palestinesi nel villaggio libanese di Tall El Zaatar. Piccoli segni orizzontali e verticali si dispongono in maniera ossessiva verso il riempimento totale dello spazio bianco del foglio. Il lavoro proseguirà come alfabeto illeggibile e personale dove tele e fogli sono sommersi da grafemi senza soluzione di continuità a mano libera e ogni segno si dispone su di una singola superficie senza legarlo ad altri. Tutto ciò in una sorta di trance inconscio. Ancora una volta si può ricordare la serie “Volumi” per quell’azzeramento che qui si ripete. Il 1978 è l’anno de “I fatti della vita”: fogli, di diverse dimensioni e colori, sono occupati, ciascuno, con segni come nell’”Alfabeto della mente”, ma questa volta cadenzati da intervalli e spazi bianchi in modo da creare, con diverse vibrazioni della penna – che sono una sorta di diario dell’artista – pensieri, emozioni, umori, legati anche a fatti di cronaca e quotidiani. L’anno successivo presenta alla Pinacoteca comunale di Ravenna “Sotto la sezione d’oro si nasconde un piccolo tesoro”: qui cinquanta cartoncini di grandezze diverse, ma tutti di forma rettangolare accoglievano i nomi del pubblico. Uno era realizzato secondo la regola della sezione aurea, e chi avesse scritto il suo nome su questo cartoncino, alla fine della mostra avrebbe ricevuto un premio.
È il 1981 quando espone per la prima volta “Costellazioni” alla personale presso la Galerie Walter Stroms di VIllingen. In questa serie il segno è sempre più piccolo e non ha più alcun riferimento ad un alfabeto, seppur mentale; si addensa e si disperde simulando moti molecolari e galassie stellari. I fogli sono tutti monocromi. Nel 1987 inizia a lavorare al ciclo “Il movimento delle cose”: segmenti sottili a china nera su fogli di plastica trasparente si moltiplicano in segni dinamici generando gorghi, sinuosità e percorsi. La sua consacrazione avviene nel 1990, quando partecipa alla XLIV Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, dove i curatori della mostra Laura Cherubini, Flaminio Gualdoni e Lea Vergine, la scelgono come unica donna insieme a De Dominicis, De Maria, Gallo, Boetti, Anselmo, Guerzoni, Olivieri e Tirelli. Dadamaino avrà una sala personale all’interno del Padiglione Italia. Presenterà “Il movimento delle cose” con opere delle dimensioni di 1,22×18 metri ciascuna. Gli enormi fogli in poliestere saranno montati in maniera da essere sospesi in aria con due zanche, seguendo due direzioni diverse all’interno della sala. L’intera opera di Dadamaino si muove tra due direttrici: l’una lirica, l’altra rigorosa.
Il suo pensiero segue un andamento oscillante tra mente, calcolo matematico-geometrico e pulsazioni istintive, se si guarda il suo lavoro complessivamente, quando apre ad un alfabeto mentale. La sua capacità ha prevalso su di un mondo, quello dell’arte, all’epoca ancora prevalentemente maschile, confermando la sua caratura ed il suo talento.