Limiti mobili – Elvio Chiricozzi
Nell’esposizione LIMITI MOBILI, che si svolge nella Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, in Via del Collegio Romano 27, l’artista Elvio Chiricozzi applica le sue ricerche al formato del libro. Di conseguenza la palpitante invasione dello spazio dei suoi uccelli, o l’intenso effetto di sfondamento della parete, ottenuto dalle sue nuvole, viene ridotto in formato tascabile. Le dieci teche espositive della biblioteca sono sfruttate funzionalmente, e sono colmate di opere realizzate appositamente per le loro dimensioni.
Queste opere si caricano del pregio del minuscolo, e ci fanno meglio osservare la perizia di questo artista mediante il piccolo formato. Data la visione ravvicinata, il segno diventa ancor più protagonista in queste opere, che possono essere usate come sorgente per accompagnarci nelle nostre riflessioni sugli eterni temi del volo e del dialogo tra cielo e terra.
Testo
L’abitudine è la chiave di lettura di tutti i fenomeni naturali. Per uso, per abitudine quindi, collochiamo gli uccelli nel cielo, e ci sembra naturale che sia così. In questa mostra di Elvio Chiricozzi, invece, gli uccelli e le nubi sono tenuti separati. C’è un fiume di nulla a tenerli distanti, oppure è un fiume che contiene tutto, ovvero l’abitudine che tradizionalmente li mette insieme.
In questa esposizione, dunque, Elvio Chiricozzi prende di petto il problema del soggetto dell’arte, e con questo doppio insieme di opere, sembra domandarsi visivamente, pubblicamente, quali siano i criteri che decidono che un elemento del reale diventi tema di un quadro. Evidentemente il nostro pittore ama le sfide, e predilige questi due soggetti che sono l’apoteosi dell’in-permanenza: uccelli e nuvole. Questa mostra ha dunque un sapore nostalgico e ribelle, vera e propria hybris, ovvero sfida impossibile, del fermare l’attimo per farlo diventare eterno mediante una ripetizione non significante (come direbbe Deleuze). Attimo dell’impossibile, celebrato tante volte dalla cultura classica, con Icaro che cade, con Marsia che suona, con Prometeo che invola il fuoco.
In conseguenza di ciò, da una parte ci sono questi storni che migrano verso territori immaginali, dove poter lanciare ancora una volta la loro sfida al cielo, una terra dell’altrove in cui si perdano le tracce dei destini, e in cui non si veda la fine dell’attimo. Dall’altra parte, invece, si trovano questi trionfi di nubi, barocchi per la loro unione di enfasi e inconsistenza. Essi riempiono il cielo di palpiti e di presenze, e fanno in modo che si avverta il consueto, conosciuto a tutti, desiderio di alleggerirci per essere accolti nella Gloria. Ciò che ascende, come i Santi, sembra realizzato e felice: l’in-permanenza finalmente diventa eternità, proprio quella che conosciamo, almeno con lo sguardo, quando siamo al cospetto di queste opere.
Paolo Aita