Giuliano Sacco – tecnica litica tra passato e presente
“Umano troppo umano” diceva Friedrich Nietzsche, “Urbano troppo urbano” è il motto che Giuliano Sacco potrebbe tatuarsi sul cuore. O sullo zainetto da esploratore. La condizione umana ci ha portato qui, ora, in guerra perenne con i nostri simili, con l’ambiente, con il pianeta che abbiamo spolpato, asservito, devastato, fino a rischiare di distruggere noi stessi insieme a lui. Una possibile via di fuga consiste nel ripercorrere l’evoluzione a ritroso, cercare di comprenderne le tappe ricercando l’istante in cui l’uomo si è distaccato da quell’empatico rapporto con la natura che lo rendeva un essere sensibile alle foglie, alle nubi, alle pietre. A tutto ciò che lo circondava. Per fare questo Giuliano ha scelto la via del flint-knapping, della scheggiatura, della percussione diretta o indiretta, bipolare, della fratturazione, della pressione, della lavorazione della pietra in tutte le sue declinazioni. Façonnage o débitage sono parole del suo lessico familiare. Guardategli le dita delle mani e vedrete come se le riduce a forza di percuotere la selce.
In Gran Bretagna oggi si commemora la curiosa figura di Flint Jack (Edward Simpson) uno strano personaggio – mezzo archeologo e mezzo girovago – che nell’Ottocento introdusse la pratica di imitare, di replicare, di inventare persino, strumenti in selce tipici dell’industria litica preistorica. Fu spesso accusato di falsificare, di contraffare, di ingannare i suoi compratori, ma resta il fatto che con il suo operato ha gettato le basi di una sperimentazione che non aveva ancora dei seguaci. Ora Flint Jack è celebrato dalla Henry Moore Foundation, alla stregua di un creativo della percussione, di uno scultore. Da parte sua Giuliano Sacco non spaccerebbe mai per autentiche le sue creazioni ma a modo esse lo sono, autentiche. Sono la dimostrazione che per raggiungere certi livelli di competenza e di abilità tecnica bisogna calarsi completamente nell’essere cui si vogliono carpire i segreti, bisogna entrare in sintonia con individui vissuti decine, centinaia di anni fa. Bisogna andare alle radici dell’autenticità. Bisogna essere capaci di penetrare nella mente, nella visione, nella coscienza di popoli sconosciuti, per non dire di specie estinte, diverse dalla nostra. Giuliano sa tirare con l’arco, usare un propulsore o creare il fuoco. Giuliano può essere alternativamente un Homo heidelbergensis, un neanderthalensis o un sapiens del magdaleniano. Può essere del pleistocene oppure dell’olocene, può passare dal paleolitico al neolitico senza dimenticare il calcolitico. E può esserlo restando sempre se stesso. In fondo Giuliano è un viaggiatore del tempo e la sua macchina è la sua mano. Una mano mai disgiunta da una profonda conoscenza. Una conoscenza ottenuta studiando e camminando, scrutando. Stando sul campo.
Insieme ne abbiamo fatto di passeggiate commentando ogni singolo ciottolo incontrato. Ogni ciottolo una ipotesi, una affascinante supposizione, una possibile storia, ogni ciottolo un sassolino che riconduce il nuovo Pollicino a casa. La casa comune del genere umano.
Pablo Echaurren
Giuliano Sacco è nato a Roma nel 1979, il suo percorso artistico inizia al liceo con il writing e i “graffiti” passando poi alla street e poster art e la realizzazione di collage e sculture in cartapesta negli anni 2000. Da Circa 6 anni si occupa di tecnica litica Paleolitica e Neolitica, realizzando strumenti preistorici in selce, ossidiana e vetro con uno sguardo alle tecniche moderne delle popolazioni Nord Americane, Mesoamericane, dell’sudest asiatico e dell’Oceania che hanno tramandato queste tecnologie fino ai giorni nostri.