Emanuela Barbi TEMPOCEANO a cura di Antonio Zimarino
I lavori di Emanuela Barbi hanno sempre avuto una loro particolare qualità che obbliga chi veramente voglia entrare in contatto con essi, a cercare le possibili connessioni visive e formali per ricostruire e ricomporre i dati di ciò che osserva. Di fronte alle forme, ai nessi, ai legami, alle immagini, ai dettagli e ai suoni, bisogna prendersi un proprio “tempo” per distinguere cosa esse davvero siano, senza pretendere di sapere cosa sarebbero per noi. Esse ci chiedono dunque un “tempo” di lettura, è questo tempo è molto importante perché ci aiuta non semplicemente a riconoscere ma a conoscere, a capire l’identità di ciò che si vede che è poi l’unico modo coerente ed efficace per provare ad interpretare .
Ed è così anche per questa proposta pensata per Spazio InAngolo: ciò che lega tra loro la diversità degli stimoli visivi chiede un rapporto intimo e aperto, un andare in profondità con il senso di ciò che propongono cose, oggetti, forme, spazio e immagini. Credo che questo sia un punto fondamentale del rapporto che va stabilito con l’arte contemporanea: cercare cosa essa propone, cercare cosa di ulteriore ci possa dire; guardare prima “lei” e non tanto noi stessi e ciò che pensiamo di sapere. Le opere non facilmente categorizzabili, i sistemi aperti, gli equilibri insoliti chiedono una intelligenza ed un “tempo” interiore particolare per svelare e suggerire in noi le possibilità dell’interpretazione, ancorandoci alla conoscenza dell’identità per aprirci poi alla possibilità. Solo così e solo con opere non categorizzabili può iniziare un viaggio splendido e senza meta certa, che riguarda il “pensare” attraverso le immagini e il dato estetico.
Proviamo allora a percorrere simboli e relazioni e vedere come questo viaggio possa comporsi o quali sensi possa aprire. Le immagini bidimensionali stampate sui teli sono quelle di un mare e di una spiaggia: l’artista le ha chiamate “veroniche” e già questo termine da solo suggerisce un approccio misterico tra realtà e immagine. La Veronica nei Vangeli è l’immagine del volto del Cristo morente: il mare è quindi “divinità” in sofferenza perché nel nostro contesto storico è sempre più caratterizzato come un luogo che raccoglie ciò che noi “rifiutiamo” ed è drammatico accorgersi che noi oggi non rifiutiamo più solo “cose”, ma persino gli esseri umani che cercano di attraversarlo nella speranza di una vita migliore e del cui dramma rimane solo il ricordo di una voce e la sua tensione disperata. Questi “sudari” si elevano, ascendono tirati verso l’alto, stabilendo una connessione visuale con un ipotetico cielo che li raccoglie e li richiama a sé, ma appaiono anche come “sipari” che svelano tanto la possibile perdita di senso di ciò che è rappresentato che la necessità di prendere coscienza di questa perdita.
Il mare, così come il cielo sono “luoghi senza misura”, sono “oceani”, che simboleggiano continuità, vita, mistero, flussi, destini e orizzonti all’interno dei quali muoviamo e costruiamo i nostri rapporti con il vivere. Ma non solo noi: il mare che oggi stiamo in qualche modo “negando” è in realtà il luogo della nascita della vita il cui splendore e magnificenza si manifesta anche nelle cose più piccole e nelle “residuali” forme di vita che possiamo trovare su qualsiasi spiaggia. Le conchiglie, anche soltanto con le loro forme essenziali diventano elementi di composizione e di immaginazione: normalmente ci appaiono piccole, fragili e insignificanti ma se riusciamo ad osservarle con attenzione diversa (e qui la fotografia diventa elemento analitico straordinario quando il suo “guardare” riesce a rivelare tutte le potenzialità immaginali dell’oggetto) quei piccoli gusci diventano autentici “monumenti” (dal latino monimentum ricordo, prova, testimonianza) di ciò che invece la vita, se pur minima, è in grado di lasciare. La madreperla dell’essere vivente che le abitava, ha lasciato una straordinaria immagine della sua “piccola” vita: adesso, di fronte ai nostri occhi e attraverso lo sguardo empatico dell’artista che le svelate, diventano universi autonomi di luce e colore e i loro cromatismi sembrano suggerire paesaggi, cieli, temporali, riverberi di luce e movimento costante come se li restasse impressa tutta la complessità inesauribile di qualsiasi vita e della vita stessa.
Anche l’elemento residuale ha in sé una storia e inattese potenzialità simboliche e di senso: secondo il nostro modo di guardarlo può generare altre forme (un volo, una goccia): ogni cosa, anche nel dramma, può diventare generativa se siamo capaci di guardare apertamente e diversamente. Ma non c’è solo questo, ci sono piccoli rumori da cogliere intorno, c’è appena distinguibile, una piccola traccia o sentore d’ “acqua”, forse il vero elemento unificatore tra tutti i punti di questa “visione”. Di essa non vediamo rappresentazione ma non possiamo pensare che non ci sia: il suo appartenere cromaticamente e chimicamente al cielo e all’aria la rende “luogo e sostanza della vita”, che microscopica nasce in essa e per essa, capace nel tempo di creare “monumenti”, legami, meraviglie solitamente sconosciuti.
Cosa risulta allora da questa complessità di stimoli visivi, formali, simbolici che si intersecano in questa particolare installazione? Certamente qualcosa di “non concluso”, certamente l’esperienza della coesistenza di dramma e speranza, certamente una attesa, una sospensione. Ma non è questa in fondo la sospensione esistenziale propria di chi vive la “contemporaneità”? Non è questa esperienza dell’essere con il tempo quella che F. Ferrari considera il nucleo drammatico ed irrisolvibile della “pratica filosofica” di ogni tempo? 1.
Dunque credo che questa installazione sia innanzitutto frutto di una partecipazione appassionata dell’artista al “tempo” e allo spazio profondo del nostro vivere e che sia il tentativo di condividere con noi questa attesa, questo desiderio di essere e partecipare consapevoli al vivere che scorre e che fluisce, inatteso e imprendibile, pieno di dubbi, dolori, ma anche di orizzonti e possibilità. Credo che se vi entriamo con
attenzione lasciando parlare le opere (piuttosto che ostinarsi a parlare per esse) si apra anche per noi il senso di una riconnessione intima e profonda con uno stato esistenziale di equilibrio tra gli elementi fondanti del nostro essere, della nostra “chimica” e della nostra relazione con ogni briciola della creazione. E questo ricomporsi di sensi e significati in noi diventa contemporaneamente “conoscenza”, ed emozione, analisi e immaginazione, scoperta e rivelazione. Se possiamo vivere questo, stiamo facendo un’esperienza di ciò che “arte è” e dovrebbe essere: uno spazio infinito, come un oceano vivo, nel quale stupirsi di ciò che vi si può trovare.
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1 F.Ferrari, Introduzione, in: Del contemporaneo, Saggi su arte e tempo, B. Mondadori, Milano, 2007, p. IX
IN BREVE
Emanuela Barbi TEMPOCEANO a cura di Antonio Zimarino
vernissage domenica 22 gennaio ore 11.00
Inangolo
Largo San Giovanni Battista 1, Penne (PE)
Casa delle Arti e dei Mestieri
dal 22.01.2023 al 04.02.2023
domenica 22 gennaio dalle11.00 alle 13.00 dalle 15.00 alle 20.00
venerdì e sabato dalle 18.00 alle 20.00
www.inangolo.it
info@inangolo.it