Claudio Verna. La profondità nella superficie
Claudio Verna è figura chiave e fondatore del movimento artistico “Pittura Analitica”. Le sue opere sono alimentate dal colore, dalla luce, dalla vita. Il CIAC di Foligno (Centro Italiano Arte Contemporanea) ospita dal 27 ottobre 2024 al 12 gennaio 2025 la mostra “Claudio Verna. La profondità nella superficie”, a cura di Italo Tomassoni. L’educazione artistica di Claudio Verna, classe 1937, ha preso forma in Umbria per proseguire poi con una lunga carriera in particolare a Firenze e Roma, numerose mostre collettive e rassegne internazionali. Le sue pitture si distinguono per un’espressività matura, caratterizzata da estremo rigore e intenso abbandono emotivo. Protagonista assoluto dei dipinti di Verna è il colore e la sua capacità di assumere i valori massimi della saturazione e della luce.
La mostra è promossa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno; l’organizzazione è realizzata in collaborazione con Maggioli Cultura e Turismo.
La “Pittura Analitica”, di cui Claudio Verna è interprete di punta, fa della pittura l’oggetto dell’indagine della pittura a partire dalle sue componenti fondanti (superficie, supporto, colore, segno) tanto da essere stata definita, tautologicamente, anche “Pittura Pittura”. Claudio Verna non è solo pittore. Scheda le sue opere con la precisione analitica di un archivista. Redige per ogni quadro la scheda bibliografica tracciandone minutamente percorso e relazioni. E, soprattutto, dipinge in piena complicità con la sua scrittura che mantiene rigorosamente dentro il confine di ciò che dipinge per indagarne potenzialità e limiti. Pur non esaurendosi nelle sue opere, la sua scrittura è il riflesso di un pensiero che lo condiziona anche nella disciplina materiale, in un rapporto tra artista e opera che è stato sempre attivo nella storia dell’arte ma che, oggi, si è affievolito in favore di un’immediatezza pragmatica e curatoriale che pensa di poter fare a meno del pensiero e dell’interrogazione sull’arte.
Spiega il curatore Italo Tomassoni: «Verna descrive la pittura in sé, nelle sue componenti, nella sua assiomatica, nei suoi principi fondanti rapportati al mondo. Ne esamina i valori di base; conferisce senso e istituisce collegamenti tra le componenti dell’opera e la fruizione esterna; torna incessantemente al centro della problematica fino a constatare quanto sia riduttiva la concezione di una pittura che si arresti solo alla superficie e al supporto. Lo intrigano le potenzialità profonde dello spazio e del colore, le molteplici virtualità visive e percettive che dalla superficie si dilatano all’esterno o all’interno, in altezza e in profondità, in successioni dinamiche e stasi che riguardano il fare e il contemplare, i pieni e i vuoti dello spazio figurale (gestalt), l’opera compiuta e il Reale. Tutto avviene nell’officina della pittura o nella “cucina” della pittura. Nessun ricorso a materiali che non siano i pigmenti nobili del dipingere; insomma lascia che tutto derivi dal gioco delle sovrapposizioni e dei timbri su cui si dilatano il fascino e il senso delle possibilità espressive compresse nel corpo dell’opera. Su questi principi Verna rivendica la verità della sua pittura. Sa che la storia dell’arte è pur sempre una storia di verità, anche se questa categoria trascendente è stata concepita per non arrivare mai a una risposta. E poiché l’idea di verità appartiene all’estetica perché è un prodotto dell’arte, la domanda che anche lui si pone è: esiste una verità in pittura? Se, al riguardo, Verna provasse a tracciare una genealogia della pittura come Nietzsche ha tracciato una genealogia della morale, si accorgerebbe che la verità della pittura consiste in quell’eterno metamorfismo che ha costruito l’edificio della storia dell’arte. Scoprirebbe che nessuna verità è data o è rintracciabile una volta per tutte e in un solo momento. E infine, nel tempo in cui svolge la sua ricerca a cavallo tra Novecento e Duemila, constaterebbe che non esiste più neppure la antica dialettica bello/brutto che infatti, con il secolo XX, è stata destrutturata e non ha più senso compiuto. Conclusione: il tragitto della pittura non ha un fine e non ha neppure fine. È la storia di ogni quadro, del suo centro, del suo perimetro e della sua cornice che fanno tutt’uno con l’opera. Sono l’orlo, la superficie e il centro della pittura».
Nella pittura di Claudio Verna emerge anzitutto l’assetto geometrico di ogni quadro, la forma del supporto e del margine che, invariabilmente, coincidono con una configurazione della geometria classica: il quadrato, il rettangolo, qualche volta il cerchio. Verna è persuaso che nella pittura contemporanea la forma del quadro non è solo delimitazione del perimetro dell’immagine, ma dato costitutivo della figurazione che si esprime anche attraverso i suoi orli. Poi, all’interno del margine, ulteriori assetti si articolano, in sequenza, combinandosi con il colore che, a sua volta, si configura come entità che riveste il supporto, e fa da argine a verità nascoste dietro il suo velo. Il segno, sigillando il risultato finale, apre alle differenze collegando spazio e colore dentro il contesto performativo della verità finale.
Sottolinea il curatore Tomassoni: «È palese che già l’analisi delle componenti dell’opera orienta l’indagine verso dispositivi che stanno “dentro” la pittura e non si arrestano né alla sola resa visiva di superficie, né ai valori materiali del supporto, ma tendono a liberare le semantiche intrinseche agli elementi costitutivi, concorrendo al conseguimento dell’unità che di questi elementi è la finalità espressiva compiuta. I bordi, in particolare, sono sempre stati un tratto peculiare e rivelatorio del linguaggio di Verna, specificamente concentrati sugli orli sia del perimetro dell’opera che dei perimetri delle forme interne al corpo; percepiti come zone nevralgiche di confine dalle quali è possibile dare un’occhiata furtiva all’intimità del tessuto del quadro per carpirne segreti o interagire con essa per marcarne conformità, varianti, rivelazioni inaspettate e sviluppi ulteriori».